Poco critici, incredibilmente crudeli

di Alessandra Giannitelli


Poco critici, incredibilmente crudeli

 

criticaUn minuto di silenzio: la critica ci ha lasciati. O meglio, ha lasciato il posto alla sua controfigura: l’ingiuria.

Leggendo molte recensioni, articoli o semplici commenti sparsi su riviste di cultura, blog e gruppi di lettura, riguardanti i candidati e i finalisti a premi prestigiosi nazionali ed internazionali, si ha l’inquietante sensazione che a farla da padrone sia un subdolo veleno insinuato tra le righe, il cui fine consiste nel collegare i gusti letterari dei critici – o di chi si improvvisa tale – a un’insensata quanto violenta frustrazione personale tradotta in disprezzo nei confronti degli autori di quei libri.

Sferzate sulla vita privata e familiare degli autori in questione, battute ai limiti della perversione mascherate da ironia, ma soprattutto totale assenza di rispetto e di spirito critico nel senso professionale del termine.

La domanda che ci si pone, arrivati a metà lettura di simili pseudo-critiche è: perché? Cosa può spingere a partire da un’opera letteraria con una vita propria e un significato a sé stante per arrivare a vere e proprie ingiurie tutt’altro che letterarie e professionali?

È questo il gioco, queste le regole a cui sottostare, d’accordo. Premi come lo Strega, il Campiello, il Nobel offrono visibilità e chiedono in cambio l’esposizione alla pubblica LAPIDAZIONE.

“La gloria è una forma di incomprensione, forse la peggiore” scriveva Borges in Pierre Menard, autore del Don Chisciotte. Perfetto. Ma se di premio letterario si tratta – per quanto giogo prettamente editoriale possa essere – cosa c’entrano commenti, cattiverie e veleni di ogni tipo sulla vita privata e sulla sensibilità stessa degli scrittori in gara? Che senso ha farne una questione personale?

Ancora una volta quello che dovrebbe essere lo spazio più aperto alle diversità e alle divergenze d’opinione, di quello stesso mondo che dovrebbe porsi al di sopra di certe meschinità – evitando bassezze da rubriche rosa e concentrandosi sull’essenza della scrittura – si dimostra inadatto al proprio ruolo.

Non è un “noli me tangere” che si chiede a chi si occupa di valutare opere più o meno meritevoli o di esprimere il proprio parere a lettura ultimata, ma semplice rispetto e un ridimensionamento dei toni che si sceglie di utilizzare nelle valutazioni.

Soprattutto, sarebbe auspicabile e corretto che la critica concernesse prettamente l’opera e tutto ciò che – letterariamente e non privatamente – ruota intorno ad essa.



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