La rivoluzione privata dell’Amica geniale

di Valentina Masotti


 

valentinaÈ un romanzo che non ha bisogno di molte presentazioni, L’amica geniale di Elena Ferrante. Il suo grande successo, corroborato dall'aura di mistero dietro cui si nasconde la reale identità dell’autrice, ha sancito da qualche anno a questa parte la sua indiscussa popolarità negli ambienti letterari e non. Composta di quattro libri che hanno quasi compiuto il giro del mondo, l’intera opera è stata pubblicata tra il 2011 e il 2014.

Nel momento in cui ci si addentra nella trama e le pagine cominciano a scorrere via una dietro l’altra, ci si rende conto però che L’amica geniale è molto più di un best seller. È una storia corposa, intensa. Un romanzo storico e di formazione, un intreccio inestricabile tra vicende private e grandi trasformazioni sociali che raramente si ha l’occasione di riscontrare nella letteratura dei nostri giorni. Accanto ai mutamenti dell’Italia degli anni Settanta, all'annichilimento dei grandi ideali che vi ha fatto seguito, i personaggi che animano il libro vivono e affrontano le loro rivoluzioni individuali, riproduzioni su piccola scala degli sconvolgimenti e delle ricomposizioni del contesto politico e sociale dagli anni Cinquanta a oggi.

Elena Greco e Raffaella Cerullo, Lenù e Lila, sono le due figure femminili che costituiscono il fulcro dell’intera vicenda. Entrambe nate nell'agosto del 1944, trascorrono l’infanzia e l’adolescenza in un quartiere alla periferia orientale di Napoli sviluppando tra loro un legame indissolubile, che le fiancheggerà nel lungo corso delle intricate vicissitudini a cui l’una e l’altra sono destinate. Sin dalla più tenera età, la loro amicizia viene sigillata da una reciproca promessa: emergeranno insieme dalla miseria delle loro origini, con impegno e coraggio sfuggiranno alla vita spenta a cui sono state condannate, troveranno forzieri colmi di pietre preziose, prenderanno la laurea, insieme daranno vita a un libro, diventeranno scrittrici famose. È forse quello il momento in cui, in quell'affastellarsi di fantasie infantili, germogliano i primi semi delle loro piccole rivoluzioni private, che già si sentono determinate a compiere.

Ma al termine della scuola elementare, Lila e Lenù subiscono una separazione forzata, i loro obiettivi comuni si scindono e le due bambine prendono strade diverse. La seconda proseguirà gli studi, mentre la prima, per imposizione del padre, dovrà accontentarsi delle poche nozioni di base acquisite e cominciare a faticare nella bottega di famiglia. Lenù è di un’intelligenza vivace, ma le doti di Lila sono sorprendenti, un oltraggio luminescente allo sfondo cupo del rione, che pare però doversi rassegnare a una vita che scorre tra scarpe da riparare e obblighi famigliari da rispettare.

La giovinezza delle ragazze è quasi completamente assorbita dal fantasma dell’ascesa sociale, nessuna delle due si rassegna a lasciar cadere il comune progetto d’infanzia, che si fa anzi sempre più radicato. In modi diversi, calibrati sulle effettive possibilità di ciascuna, le loro rivoluzioni individuali prendono il via. È una partenza timida, esitante, che predilige l’avvalersi di canali di mobilità sociale universalmente riconosciuti e accettati. Lenù otterrà la maturità liceale e si iscriverà alla Normale di Pisa, dove porterà a compimento gli studi in letteratura. Lila invece si sposerà giovanissima con un ricco commerciante del rione, raggiungendo il tanto agognato benessere economico per lei e la famiglia d’origine.

Ma se la scalata della figlia dello scarparo pare dare i suoi primi frutti in breve tempo, quella di Lenù, che mira a sbarazzarsi del contesto del rione, non sortisce alcun effetto tangibile per tutta la durata degli studi liceali. Lila compie un percorso dal basso verso l’alto, restando pur sempre ancorata al medesimo ambiente, all'interno del quale riesce però a conquistarsi un ruolo di maggior considerazione. Elena invece compie sforzi notevoli per cercare di transitare verso un contesto diverso, cerca di raggiungere una nuova nicchia sociale muovendosi in lungo e in largo, in un’oscillazione incessante tra determinazione e senso di inadeguatezza, voglia di affermarsi e paura di non essere all'altezza. Una piccola delusione da studentessa ginnasiale si rivela sufficiente a farle rimettere in discussione il suo intero progetto: “Volevo tornare a sprofondare nel rione, essere com'ero stata. Volevo buttar via lo studio, i quaderni zeppi di esercizi.” (“Storia del nuovo cognome”).

Appare disorientata, Lenù, e il contrasto che la sta lacerando interiormente si concretizza nella diversità delle due figure maschili che sono parte della sua vita di quegli anni. Antonio, il rassicurante fidanzato del rione, e Nino, il brillante studente liceale, bellissimo e irraggiungibile, rappresentano la contrapposizione, la lotta tra la condizione di partenza di Elena e quella a cui ardentemente aspira. Alla fine riuscirà nel suo intento di lasciarsi il rione alle spalle e si trasferirà a Pisa per frequentare l’Università. Ma il suo disagio persisterà, facendola sentire un’orfana sociale che, traghettando a intermittenza da un ambiente all'altro, non riesce più a sentirsi veramente parte di nulla: “Ce l’avevo fatta? Quasi. Mi ero strappata a Napoli, al rione? Quasi. Avevo amiche e amici nuovi, che venivano da ambienti colti, spesso ben più colti di quello a cui appartenevano la professoressa Galiani e i suoi figli? Quasi. Di esame in esame ero diventata una studentessa ben accolta dai professori pensosi che mi interrogavano? Quasi. [...] Temevo chi sapeva essere colto senza il quasi, con disinvoltura.” (“Storia del nuovo cognome”).

Soltanto in seguito, quando da laureanda della Normale sta per avviarsi a una promettente carriera di scrittrice, Elena comincia pian piano a rendersi conto che il benessere, la conoscenza, la cultura, non sono altro che una scorza, un ornamento da sfoggiare, incapace però di mutare la reale natura degli individui. Gli atteggiamenti gretti, i comportamenti meschini, possono appartenere a chiunque, indipendentemente dalla posizione e dal prestigio. D’altra parte, frequentando Pietro Airota, un giovane dal futuro già segnato da una promettente carriera accademica e che diventerà in seguito suo marito, non riesce a impedirsi di accostare l’indole di lui a quella del suo fidanzatino del liceo, cresciuto in condizioni svantaggiate come lei, ma rimasto praticamente privo di istruzione: “C’erano intere biblioteche tra lui e Antonio, ma si assomigliavano.” (“Storia del nuovo cognome”).

E proprio lì, a quel punto della sua vita, Lenù intravede forse per la prima volta le ombre che si celano dietro alla paura apparentemente irrazionale di Lila di perdere la propria forma, il contorno di sé, quella smarginatura che l’amica sembra temere più di ogni altra cosa, e che di tanto in tanto la afferra catapultandola in uno stato di precarietà, di terrore confuso L’essere umano è racchiuso in forme provvisorie che possono cadere e frantumarsi da un momento all'altro, in balìa del flusso degli eventi, ma soprattutto delle lotte interiori che ciascuno di noi, volente o nolente, si ritrova a dover affrontare o reprimere: “Che le persone, ancor più delle cose, perdessero i loro margini e dilagassero senza forma è ciò che ha spaventato più Lila nel corso della sua vita. L’aveva atterrita lo smarginarsi del fratello, che amava più di ogni altro suo familiare, e l’aveva terrorizzata il disfarsi di Stefano nel passaggio da fidanzato a marito.” (“Storia del nuovo cognome”).

Ma sarà molto più tardi, in occasione del violento terremoto dell’Irpinia del 1980, che il potere beffardo della smarginatura si manifesterà al massimo della sua prepotente brutalità. Lila e Lenù, entrambe in attesa di una bambina e prossime al parto, si troveranno casualmente ad affrontare insieme quell'imponente onda di distruzione. Oggetti, edifici, affetti, individui: niente è definitivo, tutto può venire distrutto in un turbine incomprensibile e sorprendente. Ma se in tutto questo Lila si ritroverà completamente spaesata, incapace di mettere in atto qualsiasi reazione, Lenù sarà invece in grado di ricostruire un ordine interiore tutto suo, in cui è lei stessa a essere il fulcro, a fungere da collante tra cose, avvenimenti, persone: “Tutto ciò che mi investiva – gli studi, i libri, Franco, Pietro, le bambine, Nino, il terremoto – sarebbe passato e io – qualsiasi io tra quelli che andavo sommando - , io sarei rimasta ferma, ero la punta del compasso che è sempre fissa mentre la mina corre intorno tracciando cerchi.” (“Storia della bambina perduta”).

All'apparenza, Elena è riuscita nel suo intento iniziale di separarsi dalle sue origini, ma soltanto lasciando una lunga scia indelebile dietro di sé. Si è laureata alla Normale, ha sposato un professore universitario, è diventata una celebre scrittrice. A un certo punto, però, rompe gli argini per tornare sui suoi passi. Lascia il marito per l’uomo che crede di amare da sempre, torna a vivere nei luoghi della sua infanzia insieme alle figlie, riallaccia rapporti che credeva ormai andati persi. Da tutto questo trae una sintesi coerente tra ciò che è stata e ciò che è diventata, un incastro perfetto tra le tante parti di lei sparse qua e là alla rinfusa.

Lila invece gli argini è abituata a romperli da sempre. Tradisce il marito quando è ancora una ragazzina e lo lascia poco dopo, nel momento in cui scopre che anche lui ha da tempo una relazione con una delle commesse della sua salumeria. Si trasferisce poco fuori Napoli, a San Giovanni a Teduccio, insieme a un amico di infanzia pur non intrattenendo con lui – inizialmente almeno – alcuna relazione di tipo sentimentale. Dalla vita agiata a cui l’aveva abituata il marito Stefano passa a una condizione miserevole di operaia in un salumificio. Vive senza sotterfugi, senza compromessi, a costo di inciampare e ritrovarsi faccia a terra. Ma poi si rialza, insieme al compagno Enzo si affaccia al mondo ancora quasi sconosciuto dell’informatica, diventa una programmatrice, riguadagna terreno, fonda l’impresa Basic Sight. È una personalità incontenibile la sua che, lei lo sa bene, non può rimanere intrappolata a lungo all'interno di ruoli preformati. E proprio per questo teme tanto lo smarginarsi dei contorni delle cose, delle persone, delle situazioni, fin troppo consapevole del rischio di distruzione che vi si annida.

Del resto, i rischi connessi alla smarginatura sono intrinseci al compiersi di qualsiasi rivoluzione, specialmente se questa non si limita a sovvertire assetti politici, sociali, economici, ma si spinge fino alla sfera privata, agli spazi intimi individuali. E quella di Lila è una rivoluzione impetuosa, travolgente, incurante delle norme e degli ordini costituiti e allo stesso tempo contrastante con la scarsa fiducia che la giovane donna nutre nei confronti dei mutamenti sociali dell’epoca. Sono gli anni delle rivoluzioni studentesche, del movimento operaio, dell’emancipazione femminile. Ma la sua rivoluzione, tumultuosa, instancabile, rimane confinata alle rivendicazioni personali e agli spazi del rione.

Elena darà invece il via alla sua vera rivoluzione privata soltanto in una fase più matura della sua vita quando, dopo aver faticosamente transitato da una nicchia sociale all'altra, deciderà di gettare all'aria il suo matrimonio con il professor Airota, di rinunciare ai legami di parentela prestigiosi, al benessere e al riconoscimento sociale. Fino a quel momento, tutti gli sforzi che ha compiuto per emergere sono passati dai canali più tradizionali: l’istruzione, l’acculturazione, la metamorfosi apparente nell'intento di farsi accettare da loro, che sapevano “essere colti con disinvoltura, senza il quasi”. Fino a un certo punto della sua esistenza, Lenù tenta di affermarsi infiltrandosi in quegli ambienti che in passato aveva potuto ammirare solo da lontano, si impone una trasformazione quieta, graduale, che si compie quasi in silenzio sullo scorrere del tempo. Soltanto quando la vita dell’amica Lila parrà essersi finalmente stabilizzata deciderà di gettarsi a capofitto in una rivoluzione a tutto tondo, rimettendo in discussione le mete raggiunte e ripercorrendo il suo cammino alla rovescia.

Raffaella la rivoluzionaria ed Elena la trasformista, Elena la rivoluzionaria e Raffaella che raggiunge uno stadio successivo del percorso alla ricerca di sé. Le vicissitudini delle due donne si intrecciano strettamente con gli avvenimenti storici, con le rivoluzioni politiche, con le promesse di trasformazione sociale, con il ritorno agli ordini prestabiliti. Siamo ormai alla fine degli anni Ottanta quando Lenù, che è anche la voce narrante di questa storia, si ritrova a dover prendere atto che “lo sfruttamento dell’uomo sull'uomo e la logica del massimo profitto, che prima erano ritenuti un abominio, erano tornati a essere ovunque i cardini della libertà e della democrazia.” (“Storia della bambina perduta”).

Senza una fine e senza un fine, la storia, così come le vite degli individui, non è altro che un continuo oscillare tra distruzioni, mutamenti, ricomposizioni. Lila si risolve a scavare a ritroso nel passato, l’unico modo, forse, per attribuire un senso a sé stessa, a ciò che la circonda. Ripercorre le vicende della sua Napoli fino agli albori. Strada dopo strada, monumento dopo monumento, ricostruisce gli eventi salienti che ne hanno sancito la valenza storica. Ne emerge “un ruscellare permanente di splendori e miserie, dentro una Napoli ciclica dove tutto era meraviglioso e tutto diventava grigio e dissennato e tutto ritornava a scintillare, come quando una nuvola corre sopra il sole e pare che sia il sole a fuggire, un disco diventato timido, pallido, prossimo all'estinzione, che però ecco, dissolta la nuvola, di colpo torna a essere accecante e bisogna schermarsi la mano tanto è lucente.” (“Storia della bambina perduta”).

La rassegnazione a questo andamento ciclico che scandisce l’alternanza tra epoche diverse, ma anche tra le diverse fasi delle esistenze individuali pare ormai l’unico modo per tessere un filo di consequenzialità in quel mare caotico che è il mondo, l’Europa, l’Italia, Napoli, il rione, la famiglia, l’individuo. E ciò implica anche una rivendicazione del proprio punto di partenza, il percepirlo come una base solida da cui spiccare il volo, come il porto sicuro a cui fare ritorno in caso di necessità. Lila non ha mai lasciato Napoli, ha sempre vissuto a stretto contatto con la sua realtà, la sua gente. Rimasta ancorata alle sue origini, è stata però in grado di plasmarle, di renderle duttili, di conformarle al suo percorso di vita: “Ah, Lila la scarpara, Lila che imitava la moglie di Kennedy, Lila l’artista e l’arredatrice, Lila l’operaia, Lila la programmatrice, Lila sempre nello stesso luogo e sempre fuori luogo.” (“Storia della bambina perduta”).

Forse il senso di tutto si può ridurre a nient’altro che questo, un movimento circolare di alti e bassi, l’assenza di una direzione univoca, l’inconsistenza dell’autodeterminazione assoluta. In fondo, però, le rivoluzioni, individuali e collettive, vale la pena di sperimentarle comunque. Forse sfoceranno in un nuovo percorso, forse invece ricondurranno al punto di inizio, o ancora porteranno a conquiste effimere, i cui effetti saranno ben presto destinati a svanire. Ma cos'è tutto questo se non l’essenza del vivere?

Valentina Masotti -

Valentina nasce a Lugano 32 anni fa. Sin dall’infanzia consuma ingenti quantità di libri, guidata da un costante desiderio di conoscere e di scoprire.

Studia Relazioni Internazionali nelle Università di Pavia e Losanna nell’intento di comprendere e analizzare la complessità del mondo, riuscendoci inevitabilmente solo in minima parte. Si laurea nel 2012 con una tesi dedicata al futuro dell’integrazione europea.

Apparentemente metodica e razionale, può in realtà decidere di rivoluzionare la sua vita all’improvviso, sulla scia delle novità che si presentano sul suo cammino.

Ama la letteratura, i viaggi, la buona cucina e le passeggiate sulle spiagge normanne con la bassa marea.

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