I greci, i romani e noi

di Eleonora Mammana


CantarellaGreci e Romani erano davvero così diversi da noi? Per molti versi sì, è innegabile, ma per certi altri no.

Questo, almeno, è ciò che lascia intendere nel suo ultimo libro Eva Cantarella, ex docente di Diritto romano e di Diritto greco all'Università Statale di Milano e autrice di numerosi saggi su usi e costumi dei nostri illustri antenati.

“Perfino Catone scriveva ricette”, edito da Giangiacomo Feltrinelli Editore nel 2014, è una raccolta di micro racconti usciti settimanalmente nelle rubriche “Vanitas” e “Mitologica”, che un paio d'anni fa recava il Corriere della Sera. Lo scopo di quelle “pillole”, come l'autrice stessa le definisce, era di mettere in luce un mondo la cui conoscenza ormai è sempre più appannaggio di pochi. Non appesantendo la narrazione con ipotesi storiografiche o con approfondimenti, ma semplicemente raccontando aspetti della vita di greci e romani, che potessero incuriosire il lettore.

Quattordici sezioni raccolgono questo notevole materiale raggruppandolo in base ad affinità di argomento: Le età della vita, Benessere del corpo e della mente, Pratiche alimentari, Sesso, amore e matrimonio, Donne, diritti e doveri, Bellezza e seduzione, Feste e riti, Superstizioni e magia, Città, campagna e viaggi, Vivere con i miti, Fatti e misfatti, In tribunale, Stravaganze. Ogni contributo poi, è introdotto da un titolo che ne identifica l'argomento specifico, da Vecchiaia orribile a Il fitness delle Spartane, da Il bon ton del banchetto a Sposarsi, il male necessario, da Le gladiatrici a Maschere di bellezza e così via.

Ciò che si coglie sfogliando questa sorta di guida del mondo classico è la quantità di aspetti che paiono accomunarci con gli antichi. Partiamo dal campo in cui forse abbiamo ereditato di più: la cura del corpo. In primo luogo, se anticamente i Romani facevano il bagno una sola volta ogni nove giorni, con la conquista della Grecia iniziarono ad adottare i costumi dei vinti, tra i quali la consuetudine di recarsi alle terme (p. 29): e che cos’erano questi stabilimenti se non gli antenati delle nostre spa? Peraltro, oltre a bagni rigeneranti, all’interno ci si poteva concedere anche massaggi e trattamenti di vario genere, depilazione inclusa. In secondo luogo, che i Greci tenessero a esibire un fisico scolpito è risaputo, meno noto è, però, che anche le donne, almeno a Sparta, si dedicassero allo sport, alla corsa in particolare (p. 31), e oggi, onestamente, in palestra, non saprei dire se sia più facile trovare donne o uomini intenti a sollevare pesi... Che dire poi della passione che i Romani nutrivano per i profumi (p. 115), per le maschere di bellezza, alla cui applicazione erano preposte delle schiave specializzate (p. 117), per il makeup, rossetti, ombretti, kajal (p. 117), per le tinture per i capelli e le parrucche (p. 121)? Ancora, non può non farci sorridere sapere che già i nostri virili antenati ricorressero al riporto in caso di calvizie (p. 120).

Sempre in tema di bellezza è curioso scoprire che già a Roma le donne prestassero attenzione a proteggersi dai raggi solari, ma per un motivo meramente estetico: la pelle bianca era simbolo di femminilità (p. 113). Quanto alla salute, infine, non esistendo gli ospedali, in caso di bisogno, ci si doveva rivolgere alle cure di un medico a domicilio, simile al nostro medico di base, con la differenza che allora queste prestazioni erano esclusivamente a pagamento (p. 32).

Il benessere del corpo per gli antichi, però, andava di pari passo con le gioie dello spirito: i Romani in particolar modo le coltivavano attraverso la lettura e il riso. A Roma nel IV secolo d.C. esistevano ben ventotto biblioteche pubbliche, senza contare quelle private, oltre alle numerose librerie in cui gli autori potevano leggere le loro opere di fronte a un pubblico attento e quanto mai critico; usanza non così dissimile, ma assai più frequente, delle nostre presentazioni di libri (p. 34). Quanto al riso, ogni occasione era buona per sbeffeggiare qualcuno: matrimoni, trionfi di comandanti e perfino funerali (p. 37)! Pare poi che sia Greci che Romani amassero le barzellette e che, come noi, usassero prendere di mira determinate categorie di persone (p. 36)...

Veniamo ora a un altro aspetto della vita quotidiana importante allora come ora, o quasi: l'amore. Di ben vecchia data pare essere la pratica di incidere sui muri dichiarazioni d’amore, come mostrano i graffiti ritrovati a Pompei (p.63). Antico anche il metodo “chiodo scaccia chiodo”, che già Orazio consigliava di adottare per superare la fine di una relazione (p. 67). Non è proprio possibile, poi, non pensare ai nostri giorni leggendo i versi in cui Ovidio si lamenta di non essere riuscito a soddisfare la passione che da tempo nutriva per una donna: momenti di defaillance capitavano anche allora… (p. 69) Quanto al matrimonio, a quale uomo oggi non è capitato di pensare, anche solo per un istante, che “vivere con le mogli procuri inevitabilmente delle noie” (p. 61)? Parlando di tradizioni nuziali, invece, se abbiamo ereditato la torta, fortunatamente non ci è stato trasmesso il modo di acconciare i capelli della sposa, complesso e un po' inquietante: il futuro sposo doveva dividere la capigliatura della compagna con una bacchetta che simboleggiava il potere al quale la donna, attraverso il matrimonio, sarebbe stata da quel momento sottoposta (p. 62).

Più delicata la questione della maternità surrogata. I Romani, quando desideravano avere figli, ma non riuscivano o non potevano averne, ricorrevano a un metodo alternativo: prendevano letteralmente in prestito il ventre di una donna incinta (p. 62).

In comune con i nostri avi abbiamo anche alcuni tipici problemi cittadini: lo smaltimento dei rifiuti (p. 151) e lo stress causato dall’affollamento, dai rumori e dall’inquinamento. Già i Romani si lamentavano dell’eccessivo caos prodotto dai locali limitrofi, se pure allora si trattasse di terme e non di discoteche (p. 150). Ancora oggi, poi, in alcune zone non esistono i nomi delle vie: a Roma era normale, solo le strade più importanti ce l’avevano; quando perciò bisognava indicare a qualcuno dove si abitava, si doveva necessariamente specificare vicino a che cosa si trovava la propria dimora; a un tempio, ad esempio (p. 149). Infine, un concetto che almeno in alcune aree del nostro paese è ancora molto sentito è quello dell'ospitalità, che per i Greci era sacra (p. 153). Esisteva un vero e proprio cerimoniale che consisteva nell’offrire al nuovo venuto un bagno caldo, un buon pasto e infine dei doni, che sancivano l’inizio di un nuovo legame sociale.

Ovviamente è giunta fino a noi anche qualche pratica “poco ortodossa”: gli episodi di violenza negli stadi di calcio che accadono spesso oggi, ad esempio, allora si verificavano negli anfiteatri durante i combattimenti di gladiatori (p. 188). Anche l’usanza di gettare oggetti vecchi dalla finestra per propiziare l’inizio del nuovo anno deriva da una tradizione antica, che prevedeva, ahimè, però, di cacciare simbolicamente a bastonate dalla città un poveretto che, vestito di pelli, impersonava l’anno appena concluso (p. 143). Ma non è finita... Durante l’Impero bizantino, quando l’imperatore decideva di prendere moglie, le fanciulle più belle sfilavano dinnanzi al sovrano nella speranza di essere scelte. Vi pare tanto distante dall'attuale consuetudine di ingraziarsi il politico di turno (p. 89)?

E che dire poi dell’abitudine di coprire i propri cagnolini di fronzoli e fiocchetti (p. 49), dei giochi con i quali si trastullavano i bambini, dadi, bambole, altalene, aquiloni, testa o croce, mosca cieca ecc. (pp. 18 e 20), soppiantati dalla moderna tecnologia, ma non ancora del tutto persi, per fortuna. Per non parlare dell’usanza di inviare inviti per le feste di compleanno (p. 93), di mascherarsi durante il carnevale (p. 125) o di levare i calici per brindare (p. 48).

Naturalmente sono numerosi anche i costumi che nel tempo si sono persi, e meno male, oserei dire, a partire dalle abitudini alimentari. Nulla di strano nel fatto che i Romani mangiassero prevalentemente carne e pesce, curioso è però che usassero accompagnarli con salse di susine, albicocche e mele cotogne, o con miele, vino, uva passa, olio, menta, pepe, erbe varie, datteri e quant'altro (p. 43), ingredienti che noi useremmo con più parsimonia e senz'altro non tutti insieme... Due ricette più leggere, però, sono accostabili alle nostre: il semolino dolce, fatto cuocere nell’acqua o nel latte, e, una volta solidificato e raffreddato, tagliato a cubi e fritto nell’olio, infine coperto di miele e pepe (p. 45), e la “cheesecake”, realizzata, però, con il pecorino (p. 46).

I Romani, poi, quando avevano ospiti a cena, erano soliti iniziare il banchetto con una serie infinita di antipasti abbondantissimi, che potevano comprendere insalate, verdure, funghi, lumache, crostacei, pesci in salsa piccante, uova sode, formaggi, tonno essiccato ecc. Seguiva la portata principale, a base di minestre di cereali, carne, pesce e selvaggina e, infine, il dolce, frutta oppure olive, cetrioli e cipolle (p. 44). Simili luculliani conviti si sono preservati, per buona sorte, solo durante le grandi, grandissime occasioni, anche se è indubbio che, soprattutto in alcune nostre regioni, accogliere bene un ospite significhi anche rimpinzarlo con squisitezze. Quanto alla cucina vegetariana, se è vero che solo oggi si sta diffondendo, non è esatto affermare che sia nata di recente; già Pitagora, infatti, nel I secolo a.C., dichiarava che “La terra è generosa di cibi, offre banchetti che non richiedono stragi e spargimenti di sangue” (p. 52).

Scomparse, ma non del tutto, anche la scaramanzia e la superstizione. I Romani credevano nei sogni (p. 137), temevano i fantasmi (p. 141) ed erano particolarmente scaramantici a tavola; un esempio su tutti: non ci si poteva alzare durante il pasto altrimenti si rischiava di morire entro l'anno (p. 142)!

Per quanto attiene al diritto, poi, fortunatamente con il tempo si sono abbandonate certe leggi davvero poco civili, anche se alcune di esse talvolta ancora emergono in alcune culture. Ad esempio, pare che nell’antica Roma, per ovviare al problema della sovrappopolazione, si usasse eliminare fisicamente gli anziani che tardavano troppo a spirare (p. 22). Certo, invece, è che un marito avesse la facoltà di togliere la vita alla propria moglie, qualora venisse sorpresa a bere del vino (p. 103) e, naturalmente, sia per i Greci che per i Romani era lecito ucciderla insieme all’amante se colta in flagrante (pp.192 e 201). Padri e mariti, poi, avevano il diritto di imporre alla sposa o alla figlia di interrompere una gravidanza (p. 105). Le pene capitali, infine, di per sé già deplorevoli, venivano spesso inflitte con crudeltà inaudita (pp. 103, 179, 182, 193, fra le altre).

Ciò che, però, senza dubbio maggiormente ci differenzia dagli antichi è che, per dirla con le parole di Cantarella, “loro vivevano con gli dei”. Tutta la loro esistenza era scandita dalla presenza di questi esseri immortali: personificazioni di elementi della natura, venti (p. 159), fiumi (p. 161), costellazioni (pp. 162 e ss.); oppure creature per metà umane e metà bestiali, come le sirene (p. 165) o in tutto simili all’uomo (perfino nei difetti).

In conclusione, credo che se non possiamo che essere lieti di aver perso certe pratiche, ci sia da rammaricarsi, però, per la scomparsa di almeno alcuni degli antichi valori: in particolare, in tempi come quelli in cui ci troviamo a vivere oggi, non sarebbe utile se fosse ancora in piedi un po’ di quell'amor di patria, di quel senso di bene comune, che nei momenti di maggior difficoltà ha permesso a Roma di risollevarsi (p. 140)?

Eva Cantarella, con quest’opera, ha davvero reso un gran servizio a una cultura che, purtroppo, si sta perdendo sempre di più, riuscendo, peraltro, nell’impresa di accorciare, almeno in parte, la distanza da un mondo che in fondo non è poi così lontano dal nostro.

Eleonora Mammana -

A dieci anni ho deciso che da grande avrei studiato il latino e il greco, così i miei genitori mi hanno  iscritta nella prima sezione sperimentale della mia città che insegnava il latino nella scuola media come materia curricolare; a tredici ho scelto di frequentare il Liceo Classico; a ventuno ho conseguito una laurea triennale in Lettere Classiche a Vercelli, con una tesi su un papiro di Stesicoro, e a ventiquattro una laurea specialistica in Filologia e Letterature dell'Antichità a Torino, occupandomi delle testimonianze a Ibico. Adoro Euripide, Shakespeare e Emily Brontë. Mi piace leggere per la possibilità, che la lettura offre, di vivere un numero incommensurabile di vite. Amo la “bella scrittura” e il “parlare bene”, ho pertanto da sempre il difetto di correggere qualunque espressione scritta che “suoni male”. Mi lascio coinvolgere dai capolavori del cinema, i colossal in particolare, con tutta quella profusione di scenografia e costumi. Ho ereditato da mio nonno la passione per l'opera lirica, fra tutte la Turandot, e da mio padre l'amore per l'arte. Ballo da sempre, danza moderna prima, caraibica ora. Mi incuriosiscono la moda e il make-up. Impazzisco per gli animali per il loro dare amore incondizionatamente. Il mio tempo libero cerco di trascorrerlo con le persone a cui voglio bene. Non sono mai completamente soddisfatta di me stessa. Mi piace mettermi in gioco e  imparare sempre qualcosa di nuovo. Sono orgogliosa e testarda, non sopporto l'ipocrisia e la mancanza di rispetto. Alla mia mamma devo la forza di volontà che mi ha sempre permesso almeno di provare a fare ciò che desidero.

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