L’arte dei sogni: la psicografia di Sinclair


sinclairC’è un momento preciso nella vita di uno studente o una studentessa di Lettere o Lingue in cui ci si ritrova a dover ascoltare, in ore diverse, da professori diversi, in tipi di letteratura diversa, uno stesso concetto ribadito più e più volte: i leitmotiv del Novecento.

Parlando del Novecento non si può non menzionare l'ansietà dovuta alle due Guerre Mondiali, non si può che parlare della caduta di ogni certezza, della fine del Positivismo e (tirate ad indovinare) di Sigmund Freud. Non parlare di Freud significherebbe non parlare di questo periodo e poco importa che un autore lo apprezzi o lo condanni, l’importante in fondo è che se ne parli.

Freud è il filo di Arianna, noi Teseo e la letteratura novecentesca è il labirinto.

Senza di lui, non ne usciamo.

Hermann Hesse, l’autore su cui vorrei soffermarmi in particolare, non solo si avvicinò allo studio dei testi di Freud ma fece pratica delle sue teorie terapeutiche, poiché spesso ricoverato presso il sanatorio a causa dei suoi esaurimenti nervosi. E il Demian, scritto nel 1917 e pubblicato nel 1919, è un esempio lampante del suo approfondimento soprattutto riguardo il sistema dell’inconscio, la teoria degli istinti e l’importanza dei sogni. L’aspetto su cui vorrei puntare l’attenzione, però, riprendendo anche gli studi di Jung, è lo sviluppo e l’analisi di questo pensiero attraverso il personaggio principale del Demian, che a dispetto del titolo, è Emil Sinclair.

Sinclair, riassumendo per sommi capi, è un bambino (e poi giovane adulto) combattuto tra il Mondo della Luce, rappresentato dai valori della famiglia e dell’etica sociale, e il Mondo dell’Oscurità, della perversione sessuale, dell’infamia, del furto e della menzogna. Mondi eternamente opposti ma riuniti nella figura di Abraxas, spunto religioso che, insieme al Marchio di Caino, ricama intorno a Demian e Sinclair (e successivamente anche intorno alla madre di Demian, Eva) un limite che si frappone tra loro e il resto dell’umanità. Ma il vero filo conduttore che percorre tutta la narrazione, è il fatto che Emil sembri combattere contro una spinta sessuale famelica, che lo porta ad una smania continua, alla bisessualità, ad una irrequietezza che troverà sfogo nella pittura, centro focale di questa trattazione:

Fra tutti i nuovi esercizi coi quali cercavo di esprimere i miei nuovi sentimenti, uno assunse particolare importanza: mi misi a dipingere. [...] Quanto più cercavo di figurarmi il volto della giovane che incontravo spesso per strada, tanto meno arrivavo a buoni risultati. Infine rinunciai e mi misi a dipingere un viso qualunque, seguendo la fantasia e le indicazioni che derivavano spontaneamente dal lavoro iniziato, dal colore, dal pennello. Ne venne fuori un viso sognato, del quale non fui malcontento. Ma tosto ripresi il tentativo, e ogni nuovo foglio parlava un linguaggio più chiaro e si accostava al tipo se non al soggetto. [...] Un giorno, quasi senza volere, tracciai finalmente un viso che mi parve più eloquente dei precedenti. Non era il viso di quella fanciulla e non voleva nemmeno esserlo. Era un’altra cosa, un che di irreale, ma non per questo meno prezioso. Pareva più una testa di ragazzo che di fanciulla, i capelli non erano biondi come quelli della mia bella, ma castani con una sfumatura di rosso, il mento era forte e saldo, le labbra rosse e floride e l’insieme un po’ legnoso come una maschera, ma pieno di vita segreta e impressionante. [...] Quel viso mi diceva qualcosa, era roba mia, esprimeva qualche postulato. E assomigliava a qualcuno, ma non sapevo a chi. [...] E una mattina, destandomi da quei sogni, lo riconobbi. Pareva mi conoscesse come una madre e mi guardasse sempre. Con un gran batticuore contemplai il foglio, quei capelli castani e fitti, le labbra quasi femminili, la fronte alta singolarmente chiara, e sempre più mi accorsi di riconoscere, di ritrovare, di sapere[...] Era il viso di Demian.” (p. 63)

Il disegno, come il sogno, se compreso e analizzato in modo adeguato può diventare un percorso "preferenziale" per l’interpretazione del mondo interiore dell’individuo, dei suoi conflitti, della capacità dello stesso di poter affrontare determinate difficoltà. La differenza sostanziale tra sogno e disegno è che il primo è comprensibile mediante un lavoro riguardante le libere associazioni, mentre il disegno è sondabile solo mediante l’uso che il soggetto fa dello spazio bianco del foglio. Riportando questo assunto al caso di Sinclair, ci accorgiamo che il protagonista non si accontenta solo di riportare su tela la realtà oggettiva ma si autorappresenta, si mescola con i suoi sentimenti e la sua ossessione sessuale per Demian. Sinclair sembra assimilare un concetto di Jung, secondo il quale l’artista moderno esprime le proprie visioni interiori per individuare il fondo spirituale della vita.

In che modo viene espresso il rapporto tra conscio e inconscio nell’opera degli artisti moderni?”, “Non potrebbero i sogni essere usati per risolvere problemi fondamentali della vita? Io credo che l’apparente dissidio fra sogno e realtà possa risolversi in una specie di realtà assoluta, la surrealtà” (Jung, “L’uomo e i suoi simboli”, pag. 257). Ovviamente, Sinclair è egli stesso una copia su carta di Hesse e di conseguenza una creatura che incarna non solo una realtà interiore individuale, ma una realtà che può essere ricondotta al momento storico in cui Hesse viveva e si sentiva proiettato. Volendo delineare il quadro situazionale con parole autorevoli basterà citare Kandinsky: “[...] tutto a un tratto caddero le mura più formidabili. Tutto si rivelò instabile, incerto, insicuro. Non sarei stato sorpreso se una pietra si fosse disciolta in aria davanti ai miei occhi” e Paul Klee “Quanto più terrificante diventa il mondo tanto più l’arte si fa astratta; un mondo retto dalla pace produce arte realistica”.

L’artista moderno, e lo stesso Sinclair, quindi non si limita a riprodurre ciò che vede ma assimila, interiorizza e riproduce ciò che percepisce, cercando di rendere “concepibile” ciò che invece è pura astrazione, proiettando sulla tela una parte di ciò che ha impressionato la sua psiche.

A ogni invocazione il volto dipinto si tramutava al chiarore della lampada. Diventava vivido e luminoso, diventava cupo e nero, chiudeva le palpebre smorte sugli occhi spenti, le riapriva lanciando occhiate ardenti, era donna, uomo, fanciulla, era un bambino o un animale, si restringeva in una macchia, ridiventava grande e preciso. Infine, seguendo un forte invito interiore, chiusi gli occhi e guardai l’immagine dentro di me più forte e più potente. Avrei voluto inginocchiarmi, ma era così affondata in me che non potevo più staccarla, come fosse diventata tutta me stesso”.

Sinclair sembra dipingere in uno stato di trance, stato in cui il mondo conosciuto sembra svanire del tutto. Come un pittore votato all’astrattismo riesce a prendere coscienza dei moti interiori, da cui è soggiogato, solo dopo un lungo periodo di vera convivenza con il viso impresso sul foglio. Emil è l’artista, è il paziente e l’analista, colui che crea e che trova il senso di ciò che crea:

Stetti a guardare quando la luce era già spenta. E a poco a poco mi accorsi che quello non era Beatrice né Demian, ma...io stesso. L’immagine non mi somigliava (capivo che non doveva neanche somigliare) ma era ciò che costituiva la mia vita, era il mio cuore, il mio destino o il mio demone. Sarebbe stato l’aspetto della mia amante, se un giorno ne avessi avuta una”.

Il “travaglio” della creazione artistica affonda le radici nelle prime fasi del vissuto, lì dove il corpo e la scoperta del corpo si uniscono alle sensazioni date dalle cure della madre, all’essere toccati, accarezzati, lì dove si cerca di dar forma al Mondo attraverso le prime relazioni con l’oggetto. L’esperienza estetica è quindi ricollegabile alla figura della madre che trasforma e plasma l’esperienza interna ed esterna del bambino. Con la crescita questo “potenziale trasformativo” viene poi riposto in altri oggetti concreti o concettuali, investiti della capacità di promuovere un profondo cambiamento del Sé.

La creatività è uno dei cardini dello sviluppo umano, poiché permette la connessione tra il proprio mondo immaginativo e quello esterno, in modo da rendere possibile a ciascuno di plasmare il proprio destino, il confine tra realtà e fantasia, recuperando l’illusione che il mondo esterno possa essere domato, che i sentimenti possano prendere forma, gestiti e proiettati al di fuori del loro creatore.

Tosto ritornò il sogno del portone e dello stemma, della mamma e della donna estranea: e di quest’ultima vidi i lineamenti con tanta lucidità che quella sera stessa incominciai a delinearne il profilo. Quando, pochi giorni dopo, quel disegno fu compiuto in un quarto d’ora di sogno e quasi d’incoscienza, lo attaccai alla parete, vi accostai la lampada e stessi a guardalo come uno spirito col quale dovessi combattere fino a una decisione. Era un volto simile al precedente, somigliante all’amico Demian e in qualche tratto a me stesso. [...] Rivolgevo domande a quella figura, la accusavo, la accarezzavo, la adoravo. La chiamavo mamma, amante, sgualdrina, la chiamavo Abraxas”.

L’immagine acquisisce caratteristiche transizionali, è contemporaneamente percepibile fuori da sé ed intriso del sé. Il ricongiungimento con sensazioni passate ma non sbiadite, il ricordo non conscio del vissuto più arcaico presuppone delle percezioni e degli stati emotivi spesso non esprimibili, o non esauribili, verbalmente. Quindi ciò che viene creato non è mai solo traduzione di un pensiero astratto o rappresentazione, ma è espressione inconscia di un vissuto rielaborato e riformulato attraverso i colori e i movimenti del pennello. Sinclair è in balia dei due Mondi, è in balia degli impulsi naturali che, attraverso gli occhi che gli ha dato la società, sembrano mostruosi. Ama Eva, la ama come una madre e come donna, ama Demian, come sé stesso e come uomo, e non può contrastare una forza così devastante come quello dell’istinto sessuale. Lo stringe, lo soffoca e ne rimane sempre violentemente scosso. Una lotta impari. Sinclair è quel viso sulla tela, Eva è quel viso, lo è Demian. Sono tre in uno, uniti da un destino e da un Marchio.

E Sinclair non se ne libererà.

Teresa Merone -

"Nata e cresciuta in una famiglia di artisti, padre pittore e madre pianista.

Non so dipingere né suonare.

Io scrivo e leggo, leggo e scrivo.

Ho una smodata passione per il giallo, cosa che probabilmente Freud imputerebbe all’incestuoso amore per mio padre. Detesto le acciughe e i capperi, la verdura tra i denti, il mio “doppio mento”. Amo, invece, il caffè, avere sempre un’opinione e le mani calde. Le mie parole preferite sono “quinquennio” e “quisquilia” che ogni tanto ripeto nella mia testa per calmarmi, nei momenti di forte stress. Ho conseguito la laurea triennale in Lingue, Lettere e Culture comparate presso l’Orientale di Napoli ed è proprio lì che ho cominciato a rimuginare sull’idea che non ci può essere vera amicizia se, al bar, si divide il costo del caffè. I miei difetti sono deliziosi, davvero: gesticolo animatamente anche per spiegare una cosa, in sostanza, triste, credo di avere sempre ragione e sono una portatrice sana di ansia e di sciagure. Ho anche degli aspetti positivi, ma non ne ricordo nessuno. Ma sicuramente li ho, da qualche parte."

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