Essere Cavalieri nel XXI secolo

di Maurizio Bonanno


 

ordine cavaleresco

Esiste ancora, oggi, la Cavalleria? Cosa rimane di quegli uomini, quegli Ordini, quelle saghe e leggende? Incursione nei tempi moderni per raccontare un pezzo di sopravvissuta memoria...

 

 

 

Raimondo Lullo nel suo Libro dell’Ordine di Cavalleria scrive: “Vi fu un tempo in cui

scomparvero dal mondo la lealtà, la solidarietà, la verità e la giustizia. Tutto il popolo fu

diviso per migliaia, e tra ogni mille ne fu scelto uno che si distinguesse dagli altri per lealtà,

saggezza e forza. A questi uomini fu dato il nome di Cavalieri!”.

Ma nell’epoca in cui viviamo (troppo lungo sarebbe elencare le caratteristiche), che senso

ha essere Cavalieri? Per alcuni è ancora la realizzazione di un ideale che ha radici profonde

nella nostra civiltà occidentale e cristiana, dove il Cavaliere rappresenta un’aristocrazia di

persone che ha saputo fare qualcosa per il progresso morale e anche materiale della società;

ma allo stesso tempo, per altri, evoca, nelle migliori delle ipotesi, una macchietta o

addirittura un personaggio finito sui giornali per fatti illegali. Tutte cose, queste, avulse dal

loro vero significato storico.

La Cavalleria nasce dall’influsso del cristianesimo sulla vis guerriera pura e sfrenata dove

rozzezza, violenza e sopraffazione si mescolavano al coraggio, alla fedeltà e all’onore.

Secondo la tradizione cavalleresca solo l’uomo è investito e, tramite questo rito, riceve

ufficialmente la missione di combattere i nemici di Dio e “di allargare, qui in basso, le

frontiere del regno di Dio”, con la grazia necessaria al suo adempimento. Ancora nel 1982

il cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, affermava che il ritratto del cavaliere

nell'accezione originale della parola è: “Combattere il male... difendere il debole e

l'oppresso contro l'ingiustizia; mettere un freno all'arroganza del più forte. Coraggio,

abnegazione e generosità. Sapere sacrificare se stesso: fino all'eroismo, fino alla morte se ci

sarà bisogno".

L'archetipo del cavaliere è legato alle imprese che nelle saghe e nella storia ci presentano

l'immagine di un eroe-guerriero affascinante e coraggioso che combatte per una causa o un

ideale. Giovane, bello, innamorato, e per la sua amata pronto a compiere imprese e duelli.

La realtà storica è ben diversa (gli Ordini cavallereschi erano spesso composti da individui

violenti e semianalfabeti), ma il significato dell'archetipo del cavaliere che sopravvive

nell'immaginazione collettiva oggi come ieri, è legato all'interiorizzazione e alla difesa dei

valori basilari: lealtà, onore, difesa del più debole, fedeltà (al sovrano, a una donna, a una

causa). Rispetto al guerriero, il cavaliere è più spiritualizzato e connesso al mondo delle

idee, osserva valori che divengono norme da rispettare sino alla fine, mentre il guerriero,

invece, tende a infrangerle pur di vincere. Il cavaliere fa dono di sé, mette sé stesso (valore,

armi, intelletto e fede) al servizio di qualcosa di superiore: Dio, il Re, la Patria, la donna

amata. Scrivono Jean Chevalier e Alain Gheerbrant sul contesto bellico in cui il cavaliere si

muove: "La Cavalleria dà uno stile alla guerra come all'amore e alla morte: l'amore è vissuto

come un combattimento, la guerra come un amore e ad ambedue il cavaliere si sacrifica fino

alla morte lottando contro tutte le forze del male... L'ideale cavalleresco sembra inseparabile

da un certo fervore religioso". I valori che il cavaliere abbraccia nella sua investitura per

ricoprire questo ruolo non sono frutto di un percorso di vita e non vengono scoperti, come

avviene per l'eroe, ma sono fatti propri come condicio sine qua non.

Questo non significa che il cavaliere non possa essere un eroe, ma i predetti valori, accettati

per puro senso del dovere, possono non sfociare in atti di eroismo. I cavalieri degli Ordini

tradizionali (Santo Sepolcro, Malta, Costantiniano di San Giorgio, Mauriziano) non hanno

bisogno di andare a fare il bene in luoghi dove la notizia verrebbe trasmessa dai mass media,

perché sanno bene che dal momento che hanno accettato di diventare cavalieri hanno

assunto un impegno senza limiti di tempo e di luogo, un obbligo che non è solo quello

morale di amore rivolto esternamente verso chi soffre, ma è qualcosa di interiore che opera dentro la

nostra stessa anima ed è la nostra storia che poggia sugli insegnamenti della fede

cristiana, che è alla base delle nostre più sacre tradizioni e regola con i suoi principi la vita

di quanti hanno deciso di essere Cavalieri.

Ma ancora primo dello scoppio della Rivoluzione francese, nella Francia di Luigi XIV e

nell’Austria di Maria Teresa, con gli Ordini di San Luigi, San Michele e Maria Teresa,

cominciò quella svolta storica che doveva trionfare nella Legion d’Onore: essere cavaliere

significa anche un’altra cosa, può essere il premio di un merito ottenuto lavorando per la

comunità durante la propria vita, un merito che comporta ricevere dallo Stato un

riconoscimento pubblico che permetta chiamarsi realmente “cavaliere” ed usare questo

termine nella vita sociale di ogni giorno. Quindi, il cavaliere non è un nobile (e non è

obbligato ad esserlo) ma rappresenta quell’élite di lavoro (intellettuale o manuale) che è

stata premiata con l’onore di portare un titolo che racchiude tutto quello che c’è di meglio

nella nostra storia e nella nostra società. Passate le bufere rivoluzionaria e napoleonica, i più

avveduti notano che un intero sistema è andato in frantumi e non sarà più possibile ripararlo:

con l'abolizione del feudalesimo, i titoli nobiliari sono svuotati dei loro privilegi e

rimangono semplici onorificenze; i nobili sono diventati normali possidenti, burocrati statali

o accettano di esercitare anch'essi quelle che una volta erano definite le Arti Maggiori.

Trionfa la borghesia, esplode la rivoluzione industriale e, per ironia della storia, il titolo più

ambito diventa quello di cavaliere: il lavoro è la vera fonte della nobiltà.

Il Cavaliere, sia che appartenga a un Ordine religioso tradizionale (come quello di Malta) o

a un Ordine di merito (come la Legion d’Onore), è sempre un individuo che si distingue

dalla massa e che appartiene ad una élite di persone che ha dimostrato aver fatto qualcosa

per la società la quale, proprio per questo, li ha premiati con un titolo non ereditario ma che

pone la loro persona sopra le altre.

Essere cavalieri oggi, e forse più di ieri, non significa portare una rosetta all’occhiello della

giacca o un mantello in chiesa per darsi prestigio davanti agli altri, ma seguire il

comportamento dei cavalieri medievali, che saranno stati mitici ma che: “Giurarono di non

ricorrere mai alla violenza senza un giusto scopo, di non abbassarsi mai all’assassinio e al

tradimento. Giurarono sul loro onore di non negare mai misericordia a chi ne facesse

richiesta, e di proteggere fanciulle, gentildonne e vedove, facendone valere i diritti senza

mai sottoporle alla loro lussuria. E promisero di non battersi mai per una causa ingiusta o

per vantaggi personali. Questo giuramento pronunciarono i cavalieri tutti della Tavola

Rotonda, e ad ogni Pentecoste lo rinnovarono”.