Il tempo di Mariapia


Veladiano Mariapia

Maripia Veladiano è una scrittrice sensibile, profonda. La sua penna nasce da un'interrogazione costante dell'anima. L'abbiamo intervistata...

Il suo rapporto con la scrittura. Come nasce, come si evolve.

Ho scritto storie tutta la vita. Favole, racconti, romanzi. Una scrittura privata che mi ha accompagnata senza la pretesa di essere ascoltata da altri. La parola scritta mi permetteva di filtrare la realtà, di leggere le emozioni che il mondo intorno mi trasmetteva. Una vita di scuola, con tanti tanti ragazzi che trasmettono emozioni, fortissime, da ascoltare. Si è attraversati dalle emozioni in classe. Nostre e loro. E scrivere è un modo di accoglierle. Senza che ci sia un rapporto, come dire, diretto, fra i personaggi delle storie e quelli incontrati in aula. Non ho mai scritto nessuna storia di scuola. Troppa paura di trasformare le persone in personaggi. La narrativa non deve rubare alla vita. Deve ascoltare la vita e restituirla attraverso la parola. Parola che ha una grande responsabilità perché poi viene consegnata al lettore e, come dire, porta emozioni o paure. Maggiore comprensione o maggiore confusione.

 

Per molti la scrittura è anche un atto terapeutico, un esorcismo con il quale si allontana, o si tiene a bada, il dolore. Anche per lei è così?

Non so. La scrittura ha anche una dimensione di grande fatica. Si scrive, si butta, si riscrive. E poi ancora da capo tutto. A volte per ore e senza gran risultato. Eppure lo si deve fare, come se scrivere fosse una dimensione necessaria alla nostra vita. Ma non so se sia terapia o sia una specie di bisogno, come respirare. Certo c’è un affanno nella scrittura. Un correre verso un risultato che non sempre arriva. Ma la mia è una esperienza tutta particolare. Per molti molti anni non ho sentito il desiderio di pubblicare. Questo di solito non capita. Chi scrive ha spesso bisogno di un riconoscimento, di essere letto per misurare il proprio valore. A me non è capitato.

 

Quale personaggio dei suoi libri ha amato di più?

Ildegarda, de Il tempo è un dio breve. Perché è una donna che combatte, non si arrende, fortissima pur sentendo tutto, tutto il dolore del mondo, si può dire? E’ tremendo sentire tutto e vivere e resistere. Sentire tutto è un privilegio terribile, e insieme un macigno. Eppure lei trova un suo passo, per amore. Di suo figlio Tommaso, di un uomo, di Dio, della vita e basta.

 

Un romanzo che le ha cambiato la vita

Le Memorie di Adriano, della Yourcenar. Una voce di uomo, una intimità assoluta con i suoi pensieri, con il suo tempo. Entrare insieme nella storia e nella mente di un uomo, fin nei desideri più personali, gli slanci di perfezione. La razionalità assoluta di certe pagine. Bellissimo.  E’ una compagnia per sempre un romanzo così.

 

La sua è una scrittura intensa, con momenti altamente evocativi. Quali sono i momenti del giorno in cui le riesce meglio il rapporto con le parole? Com'è la sua "stanza tutta per sé"?

La natura, quando posso. L’Alto Adige, le montagne di cui è circondata Ildegarda ne Il tempo è un dio breve sono le mie montagne, le Dolomiti. Bellezza potente che porta il desiderio di vita.

 

Quanto tempo dedica alla revisione? C'è chi, come Hemingway, arrivava addirittura fino a trenta stesure dello stesso testo.

Scrivo e riscrivo una infinità di volte. Cerco le parole, il suono giusto per la storia. Non riprendo tutto da capo. Un capitolo, o un personaggio, oppure una situazione che mi si ripresenta  Ma alla fine si tratta di decine di riscritture. Il tempo è un dio breve è un lavoro di dodici anni, e fa quasi sorridere oggi. Del resto non avevo intenzione di pubblicare, e non ho mai avuto fretta di finire. E poi finire un romanzo è un po’ morire. Si lascia una storia che ha occupato i nostri pensieri e le nostre emozioni per giorni, mesi anni.

 

Scrivere oggi. Cosa pensa delle nuove tecnologie e dei social network che rendono tutti "scrittori"?

Non saprei. Forse è qualcosa che davvero non conosco questo. La scrittura richiede un lungo passaggio molto privato, personalissimo, che non può avvenire, come dire, in vetrina. La vetrina poi è necessaria se si desidera un ascolto, ma la scrittura è qualcosa di profondamente personale. Certo, ci sono le tecniche, la scrittura può essere insegnata, lo dico da insegnante! Dovrei cambiare lavoro se non ci credessi. Ma il momento in cui la storia ci attraversa e chiede di essere raccontata è assolutamente personale e privato.

Francesca Pacini - giornalista, art director.

Francesca Pacini è giornalista, art director, docente. Sempre in moto, vive e lavora tra Roma e le Marche, dividendosi fra più contesti, tutti però legati alla parola e all'immagine che a volte la accompagna. Non trova mai pace: il suo motto è "lavori in corso".

Leggi tutto >>


Più articoli di questo autore

Photoshop o Dorian Gray?Photoshop o Dorian Gray?
Ci scandalizziamo per i fotoritocchi al computer. Bene. Il loro uso...
Leggi tutto >>
I (don’t) like. Why?, ovvero del pulsante assenteI (don’t) like. Why?, ovvero del pulsante assente
  Nell’era dei like stiamo perdendo il senso della riflessione....
Leggi tutto >>
Buoni lettori e buoni scrittoriBuoni lettori e buoni scrittori
Estratto da: Vladimir Nabokov, Lezioni di Letteratura, Garzanti 1992.   «Come essere...
Leggi tutto >>
Leggere beneLeggere bene
Flaubert scriveva "Come saremmo colti se conoscessimo bene soltanto cinque...
Leggi tutto >>

I nostri redattori e collaboratori:

Figlio della vita e del bicchiere mezzo pieno fatica ogni giorno a tenere i piedi per terra. Scientifico...Read more >>
Mi presento a tutti voi: sono Andrea Socrati, sono nato a Roma e ho 26 anni. Sin da quando ero alle...Read more >>
Beatrice Fabbri, docente, autrice, fotografa. Dal 2005, svolgo regolare attività di insegnamento presso...Read more >>
Valentina nasce a Lugano 32 anni fa. Sin dall’infanzia consuma ingenti quantità di libri, guidata da...Read more >>
View all authors

Seguici su Facebook