Parole di Odisseas Elytis


La forza del linguaggio nella scrittura di questo cantore del mar Egeo. Una poetica dell'esistenza che si fa arte, letteratura. Quando scrivere diventa luogo di emozioni e sentimenti sottili nascono testi vibranti, difficili da dimenticare.

 

Il sole ci scoppia dentro e noi teniamo la mano sulla bocca spaventati”.

elytis

Poeta dell’azzurro, del sole e della donna. Cantore del mar Egeo, dei muri a secco di montaliana memoria, della vita dei sensi, delle esplosioni dei colori, delle curve femminili toccate o solamente vagheggiate. Le coordinate tra le quali si muove la poetica del grande Odisseas Elytis rifluiscono come le onde del suo amato mare greco, bene illuminate da una luce implacabile e instancabile che morde le caviglie degli uomini, in una mappa interiore in cui le donne partono o si fanno rimpiangere o sono solamente una promessa lontana, quasi un brillio fugace da tenere sempre in vita come il fuoco delle Vestali. Non è sempre facile, nelle biografie dei poeti di ogni epoca e latitudine, isolare il momento ben preciso in cui il demone della poesia impone la sua tirannia ed esige una devozione alla causa e una fedeltà senza pari. Ecco, si può immaginare che per Elytis questo sia avvenuto in un pomeriggio assolato, meglio un tramonto, uno di quelli che incendiano l’orizzonte di un’isola greca, dove ogni pietra sembra raccontare un passato di miti solari e di strane prodezze umane. Un attimo di straordinaria epifania, in cui il poeta, ogni poeta, sente di dover aderire in fondo a un’altra vita, fuori dai ritmi consueti della quotidianità; un attimo di lucida e folle consapevolezza, per chi ancora crede che le vocazioni lascino segni sui polsi e sulle fronti cerchiate, così come nello sguardo degli occhi. Da qui, la certezza maturata da Elytis che “la Poesia è sempre una, come uno è il cielo. La questione è da quale parte uno vede il cielo”. Una dichiarazione di poetica, ma al tempo stesso un modo di stare al mondo, unendo le linee della mano a quelle che si fanno scorrere sulla carta. E quel cielo, sotto cui tante vite si affannano mancando spesso di contemplarlo, Elytis lo guarda “stando in mezzo al mare aperto”. Una posizione privilegiata, dunque, esclusiva, attraverso la quale la vita viene ripensata e modulata su un battito del polso regolare, e le immagini e i clamori e gli umori turbolenti del sangue si rasserenano nel ristoro della solitudine, suggerendo nuove vie all’emozione, nuove vie di fuga alla luce. Ed Elytis, come già accennato, è forse il più grande cantore novecentesco del sole, simile a un sacerdote di Apollo, che dell’astro era la divinità incontrastata. D’altronde, basta dare un’occhiata veloce ai titoli delle composizioni poetiche più importanti dell’autore, per rendersi conto dell’importanza anche linguistica e macrotestuale dell’elemento solare: “Sole il primo”, “Corpo dell’estate”, “Lì dove prima dimorava il sole”, “Piango il sole e piango gli anni che verranno”, “ Per chi il mare nel sole”. Lontano dall’essere solamente un indispensabile connubio di gas e calore in grado di conferire vita e rubare terreno alle tenebre, la sfera solare è un simbolo potentissimo insieme di un’armonia primordiale tra umanità e natura e poi di una legge morale insita nell’uomo, simile a quella che alberga kantianamente sotto un cielo stellato. Gli azzurri indimenticabili del Mar Egeo, dipinti nelle loro varie gradazioni come meglio farebbe solamente la tavolozza di un pittore en plein air, le casupole bianche greche con gli olivi di un verde intenso che sembrano avere, per dirla con Pierluigi Cappello, le radici rovesciate nell’aria, le dorature dei declivi costieri e delle chiese ortodosse: tutti questi elementi che prepotentemente entrano in molte delle composizioni di Elytis non sono immagini manieristicamente ripetute per un “décor” che suonerebbe a lungo andare falsamente autentico, ma sono al contrario i tasselli di un puzzle che trovano nella compiutezza dell’esposizione un rapporto quasi osmotico di giustezza e, oserei dire, necessità esistenziale. Quella evocata e descritta da Elytis  è una luce forte ed irresistibile che detta i tempi e i ritmi della vita e delle passioni umane, che regola le pulsazioni cardiache e che lascia riscaldare a fuoco lento desideri che ancora riposano nel sonno dei nervi. Una luce che vivifica e che giustifica, sottile e implacabile come una lama affilata; ma anche una luce che, arrivando ovunque e ovunque accendendo violente consapevolezze e sommovimenti interiori, a volte suona come accusa o condanna senz’appello. Non sempre la vita ama rivelare quanto di oscuro palpita in lei, talvolta la rivelazione di quanto sonnecchiava nell’oscurità assume le proporzioni di una violenza privata.

Spesso, quando parlo del sole

Una grande rosa rossa

Mi s’ impiglia nella lingua.

Ma tacere non mi è possibile

 

Ed ecco la commistione di colori, paesaggi ed emozioni di cui prima si parlava, esemplificata in maniera superba in una delle liriche più intense del poeta greco, Autopsia

Dunque, si trovò l’oro della radice d’olivo stillato sulle foglie del suo cuore.

Appena sotto la pelle, la linea azzurra dell’orizzonte intensa per colore. E numerose tracce di celeste nel sangue.

Nel cervello niente, all’infuori di un’eco distrutta di cielo. E soltanto nella cavità del suo orecchio sinistro,poca sabbia minuta, fine, come dentro le conchiglie. Segno delle molte volte che aveva camminato tutto solo lungo il mare, con la pena d’amore e l’urlo del vento.

Quanto a quelle scintille di fuoco sul pube, mostra che davvero andava avanti per ore, ad ogni suo nuovo amplesso con una donna.

Avremo raccolti precoci quest’anno.

E ancora sale l’invito del poeta ad accogliere dionisiacamente quanto la terra, i nutrimenti terresti, per dirla con André Gide, ci offrono nell’arco della vita, rifiutando le convenzioni imposte dall’alto, le abitudini secolari che si perpetuano senza mai essere messe in dubbio, le scelte e gli atteggiamenti che vanno verso la mortificazione della sensorialità e della sensualità dei nostri corpi.

Fin da piccolo, mi hanno riempito la testa con l’immagine di una morte imbacuccata di nero, che tiene la vita come una trappola e ce la offre aperta con in mezzo l’inganno del piacere. Ma fatemi ridere. Diceva un’altra cosa chi masticava l’alloro. E non è un caso che giriamo tutti intorno al sole.

Il corpo sa.

Elytis, poeta per metà europeo, come lui stesso amava definirsi. Così fortemente radicato nella concretezza della terra greca, continuatore e rinnovatore della grande tradizione classica a cui infonde nuova linfa e luce. Ma anche, Elytis poeta di respiro internazionale, al di là dei confini della sua patria d’origine. Decisivo, in questo senso, il viaggio da lui intrapreso a Parigi, negli anni ruggenti tra i due conflitti mondiali, quando la città francese era un laboratorio di esperienze umane diversissime tra di loro, eppure tutte legate sotto il segno dell’esplosione dell’arte. Nella Ville Lumière, il poeta greco conosce i più grandi scrittori e pittori dell’epoca, frequenta Picasso e i surrealisti, da cui accoglie e poi rielabora originalmente un sodalizio tra tradizione e modernità, tra figure della mitologia e giovani rivoluzionarie del '68 francese. Il suo linguaggio si fa sperimentale e classico al tempo stesso, levigato come una figura geometrica smussata, sensuale come un corpo di una donna desiderabile, tranquillo e intenso come le correnti sottomarine del suo amato Egeo che, come un ideale confine naturale, è punto di riferimento e partenza e sicuro approdo nel tempo.

E così rifluiscono nelle poesie della maturità del poeta greco numerose immagini di donne, da sempre impareggiabili ispiratrici di composizioni artistiche. Una donna, secondo Elytis, può essere una delle chiavi di volta per l’accesso ad una realtà in cui la natura asseconda il destino individuale.

Sono nato per avere tanto. Non m’interessa strabiliare. Dal poco arrivi ovunque prima. Solo che è più difficile. Vi puoi arrivare anche dalla ragazza che ami, ma devi saperla toccare e allora la natura ti obbedisce.

Proprio il sentimento amoroso, vagheggiato o vissuto e filtrato successivamente attraverso la scrittura, suggerisce al poeta greco la sua composizione forse più bella, sicuramente quella più vibrante ed intima: “ Monogramma”. Una lirica che si snoda come una composizione di Aragon o di Éluard, accesa da toni sospesi tra rievocazione nostalgica e un’impossibilità d’amare che si radica nell’incomunicabilità.

E le nostre mani, due piccole bestie

Che furtive cercano di salire l’una sull’altra

Il vaso di brezza negli aperti cortili

E i frammenti di mare che ci seguivano

Fin dietro le siepi e sopra i muri a secco

Piango la veste che sfiorai e fu il mio mondo

Un senso di accorata malinconia percorre sottilmente la lirica, suggerito e racchiuso dentro la cornice consueta di un’isola greca, ma che diventa universalmente lamento di incomunicabilità quando il poeta si rivolge alla sua donna utilizzando quasi ossessivamente “mi senti?”, come a cercare un contatto continuo e costante, a non allentare mai la tensione emotiva tra due persone che forse si amano e temono che lo sperpero del tempo e dei silenzi del “non detto” o del “non capito” possano abbattersi minacciosi come su di un oggetto fragile e prezioso. Ma infine il canto del poeta verso l’amata si scioglie, libero e fiducioso e avvolgente, e allora diventa una sinfonia in grado di abbracciare tutti gli elementi naturali.

Sempre tu la piccola stella e sempre io l’oscuro natante

Sempre tu il porto e io il faro di destra

Il molo bagnato e il bagliore sopra i remi

Tu l’imposta accostata, io il vento che la apre

Perché ti amo e ti amo

Sempre tu la moneta e io l’adorazione che le dà valore

Con la consapevolezza amara, però, che l’umanità non è ancora in grado di accogliere e di capire un sentimento così forte e totalizzante. Da qui, come in uno sfasamento temporale tra due mondi diversi, tra due modi di sentire la vita differenti, l’affermazione che “È presto ancora in questo mondo amore mio/per parlare di te e di me.

In Elena, lirica che appartiene alla raccolta Orientamenti, abbiamo un altro esempio mirabile di lirica amorosa, per chi scrive sicuramente l’ambito nel quale il poeta greco riesce a dare il meglio di sé. Qui, la relazione con la donna è promessa di una serenità però piuttosto inquieta, e a cui farà da contraltare non la morte, bensì una calma pioggia autunnale. Da notare che il Tu con il quale il poeta si rivolge ad Elena è sempre scritto in lettera maiuscola, quasi come Elytis volesse parlarci dell’amore "tout court".

Non è la morte che ci vincerà se ci sei Tu

Se altrove c’è un vento che ti viva intera

Che ti vesta da vicino come la nostra speranza ti veste da lontano

Se altrove c’è

Una pianura verde oltre il tuo sorriso fino al sole

Che confidente gli dice che ci incontreremo ancora

No non è con la morte che ci confronteremo

Ma con la più lieve goccia di pioggia autunnale

L’odore della terra bagnata nelle nostre anime che sempre di più si allontanano

E ancora, la splendida, sensuale, provocante, giovane anticonformista e sessantottina Maria Nefeli, alter ego femminile dell’autore, attraverso il quale Elytis attualizza la sua poesia nella storia del secondo Novecento, fornendoci il ritratto indimenticabile, vivace e vitale di una giovane ribelle, tenera e pericolosa al tempo stesso. Ci si sposta dal consueto scenario di mare, sole e isole greche, ad una cornice metropolitana, per esempio a una Parigi effervescente di rigurgiti sessantottini e di cafè e bistrot nei quali si discute di nuovo e di sogno. Ed Elytis ne sonda gli umori e le sensazioni, fissandole in immagini difficilmente dimenticabili, coniugando come lui sa fare vecchio e nuovo, tradizione e modernità, in un sincretismo umano e poetico che ha la pacatezza e il sorriso tranquillo dei grandi.

Ora tenderò le mie braccia aperte

E dentro le correnti cui darò forma

Senza che ti avvicini apparirai

Iris Maria Nefeli

Verde nei grandi negozi d’abbigliamento

Viola nei caffè underground

Rossa nei funerali dei poveri

E azzurra nel sonno dei neonati.

Sei bella come un fenomeno naturale

Qualcosa in te ricorda l’anguilla e il gatto selvatico;

sei l’acquazzone tra i palazzi

l’interruzione di corrente inviata da Dio;

e l’astrologia vigilerà sul tuo letto

e fonderà le sue predizioni sulla tua disperazione;

sei bella come la disperazione

come la pittura che i borghesi detestano

e che domani compreranno per miliardi

Iris Maria Nefeli

Con il fascino dei tuoi glutei quando

All’improvviso e inaspettatamente siedono su un rasoio.

Lorenzo Giacinto -

Romano, ma con spiccata propensione al cosmopolitismo. Laterale, eversivo, surrealista, ironico ed autoironico. Amante dei fuochi fatui e, come Lamartine e Loti, smodatamente attratto dall'Oriente. Gli piacciono tanto i dipinti di Modigliani, i film della Nouvelle Vague, i tramonti di Istanbul.

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