Perché non è sempre e solo “Colpa delle stelle”!


anna buono

Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Un giorno però il destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate, e le dimostra che il mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma come un peccato originale, come una colpa scritta nelle stelle avverse sotto cui Hazel e Augustus sono nati, il tempo che hanno a disposizione è un miracolo, e in quanto tale andrà pagato.

 

Hazel e Augustus sono giovani, giovanissimi eppure la loro storia d’amore non li vedrà invecchiare insieme, la loro è una storia tra adolescenti in cui la tenerezza e il romanticismo hanno qualcosa di nuovo, di diverso che conquista e commuove. Hazel ed Augustus, infatti, non hanno la loro canzone, ma il loro libro, “Un’imperiale afflizione”; non fantasticano sul loro futuro ma, seduti al tavolo di un ristorante in un’incantevole Amsterdam, si ritrovano ad interrogarsi sull’esistenza di un mondo dopo la morte; come i loro coetanei, anch’essi litigano con i genitori per difendere il loro diritto a decidere della propria vita, ma non sfidano la comune ansia di un genitore preoccupato per l’avvenire di un figlio bensì l’afflizione e la paura che solo il genitore di un figlio malato di cancro può conoscere. Hazel ha sedici anni e un tumore alla tiroide con metastasi polmonari al quale sopravvive grazie al Phalanxifor, un farmaco sperimentale. Ma Hazel mangia poco, se ne sta spesso rinchiusa in camera sua, sul suo letto a rileggere sempre lo stesso libro e a pensare alla morte: tutti sintomi, per sua madre, di una chiara depressione da cui vuole che la figlia venga fuori. Ma ad Hazel i suoi sedici anni bastano per capire che “… la depressione non è un effetto collaterale del cancro. La depressione è un effetto collaterale del morire …” ma accetta ugualmente di frequentare un gruppo di supporto solo perché sa che “… C’è solo una cosa al mondo più merdosa di dover combattere contro il cancro quando hai sedici anni, ed è avere un figlio che combatte contro il cancro.”. Augustus, che incontra al gruppo di supporto, al cancro non si arrende, anche se l’osteosarcoma gli ha portato via una gamba, lui non vuole essere “… una di quelle persone che diventano la loro malattia. … Come se il cancro fosse la cosa che conta ...”. Augustus ha tanta voglia di vivere e conquista Hazel nonostante la sua iniziale volontà di allontanarlo per paura di farlo soffrire nel caso in cui a morire sia prima lei. Ma i suoi sforzi servono a ben poco, lui usa il suo desiderio, il suo Premio Cancro, per realizzare quello di Hazel: portarla ad Amsterdam per incontrare l’autore di “Un’imperiale afflizione” il cui insolito finale lascia molti interrogativi senza risposta. Ma Hazel vuole conoscere quelle risposte e sa che l’unico a potergliele dare è proprio Peter Van Houten, l’autore del libro. Amsterdam regala loro un deludente incontro con lo scrittore, ma anche il loro primo bacio e la loro prima volta insieme, ed anche, purtroppo, la consapevolezza che il loro amore è avversato dalle stelle: la malattia di Augustus è ritornata più prepotente di prima (sebbene sia risultato negativo per molti mesi a qualsiasi esame specifico). Augustus muore, ma non prima di aver organizzato il suo prefunerale per il quale ha chiesto al loro amico Isaac, a cui il cancro ha portato via il dono della vista, e alla stessa Hazel, di pronunciare dinanzi a lui un elogio funebre. Al funerale, quello vero, di Augustus, Hazel non vorrebbe andarci, perché i funerali sono per i vivi, e lei non vuole “ gettare una manciata di terra dentro la sua tomba … “, non vuole che i suoi “… genitori dovessero stare lì in piedi sotto il cielo blu terso con quella certa luce del pomeriggio a pensare al loro giorno …”.

E leggendo c’è anche chi, tra queste pagine, ritrova un po’ di sé: lì nella cannula senza la quale Hazel non muove un passo, nella sua voglia di isolarsi e nella sua paura di amare e lasciarsi amare, o nell’andatura innaturale di Augustus, nella cecità di Isaac, nelle corse in ospedale nel cuore della notte, nella fragilità del padre di Hazel, nella maggiore determinazione e forza mostrata, nell’assieme, da sua madre, nel comportamento egoistico, forse troppo insensibile di Monica, la ex di Isaac. Piace Augustus, la sua determinazione nel voler cogliere tutto quanto la vita gli può ancora offrire, piacciono i suoi momenti di umana fragilità. E anche se è difficile trovare nella realtà un ragazzo malato capace di una simile forza, mi piace crederlo non del tutto impossibile; tuttavia non riesco ad immaginarmi, nel mondo vero degli adolescenti malati di cancro, un Augustus Waters che, costretto ad una sedia a rotelle, organizza il suo prefunerale chiedendo all’amico e alla sua fidanzata di leggere l’elogio funebre scritto per lui. E poi c’è lui, il carcinoma differenziato alla tiroide al 4° stadio con metastasi polmonare che ha colpito Hazel, eppure è su di lei che fa presa il Phalanxifor, regalandole dei giorni in più che ad altri sono preclusi. Un farmaco che, per quanto piacerebbe all’autore (per quanto mi piacerebbe!) purtroppo non esiste. Del resto, per stessa ammissione di John Green se si desidera leggere una vera storia sul cancro bisogna leggere altro, perché lui ha trattato la malattia e la sua cura in modo fittizio.

 

E allora leggiamo altro. Ci sono storie vere che si vivono in ogni angolo di mondo, ma che in qualcuno sembrano “essere di casa”.

Angelo, Ludovica, Agostino, Paola, Carlo, come Hazel, Isaac e Augustus, sono sì altrettanti nomi di fantasia usati però solo per tutelare quello che ancora rimane della loro dignità: le loro sono storie vere che non meritano di essere trattate in modo fittizio. Dall’altezza dei suoi 8 anni, Angelo è stato sicuramente troppo piccolo per capire bene e spiegarsi la sofferenza negli occhi dei suoi genitori, un pensiero forse vagamente simile lo avrà fatto Ludovica che a 14 anni si è portata via con sé i sorrisi e l’allegria del suo papà e della sua mamma. Chissà se Agostino, invece, prima di compiere a 20 anni lo stesso viaggio di Augustus, è riuscito a travolgere anche lui qualche ragazza con la sua stessa voglia di vivere. Chissà se Paola e Carlo, a 45 e 37 anni, hanno davvero già dato tutto nel loro ruolo di genitore, di figlio, di consorte.

Si sono ammalati, loro, ed altri tra loro continuano ad ammalarsi, senza sosta, senza alcuna finzione, senza alcun “stile di vita sbagliato”, di carcinomi, leucemie, mielomi e linfomi, nelle zone della “Terra dei Fuochi”, del Parco Nazionale del Vesuvio e dei suoi prodotti rinomati, delle ville romane sotterrate dalla munnezza (Terzigno).

Non è stata coniata ieri la definizione di quella che è tristemente nota come “Terra dei Fuochi”: si tratta di un’area molto vasta che comprende svariati comuni del Napoletano e del Casertano, in cui dagli anni ’80 avviene il sistematico smaltimento di rifiuti tossici, spesso dati alle fiamme devastando le coltivazioni e non solo. Ė da ricordare che è stato accertato che “… solo nel gennaio 2007 in aree agricole del Napoletano risultano bruciati 30mila chili di rifiuti. … Da anni secondo uno studio l'incidenza di patologie tumorali nell'area risulta altamente superiore alla media nazionale. Lo ha certificato l'Organizzazione Mondiale della Sanità in uno studio presentato ad aprile 2008, riferito a dati rilevati negli anni a cavallo del 2000. Ma già a metà anni '90 una relazione della commissione Parlamentare per l'Emergenza Rifiuti in Campania lanciava un allarme, avendo riscontrato un alto tasso di metalli pesanti (cadmio, piombo, nichel, ferro) in frutta e verdura coltivata in quella zona. …” .

Studi e analisi si sono succeduti negli anni: nel 2013 lo studio (inizialmente insabbiato) condotto dall’ARPAC (l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale in Campania) che ha messo in risalto il forte stato di inquinamento delle falde acquifere di Terzigno (come riportato in un articolo datato novembre 2013 del “Il Fatto Quotidiano”). A tale indagine si aggiunga lo studio Sentieri compiuto dal Ministero della Salute in cui si è evidenziato che sia nel Vesuviano sia nella “Terra dei Fuochi” l’esposizione a discariche e inceneritori ha determinato un incremento nei casi di tumori e malattie respiratorie che colpiscono in particolare i bambini. Conferme in tal senso giungono di recente anche dall’Istituto Superiore di Sanità (come si legge in un articolo sul “Il Mattino” dell’11/01/2016).

 

E c’è chi di veleni continua ancora a morire. Gli Angelo, Ludovica, Agostino, Paola, Carlo continuano ad accendersi, spesso, sempre più spesso, “… come un albero di Natale, … Lungo tutto il torace, l’anca sinistra, il fegato, dappertutto …”. Ma non hanno, loro, il tempo di brillare della stessa allegria di un albero di Natale. Sono figli giovani, giovanissimi i cui sogni si spengono ancora prima di vedere l’alba, sottratti all’amore che avrebbero avuto il DIRITTO di dare e di ricevere; sono madri che nascondono le lacrime nel cuore con la consapevolezza che non potranno accompagnare ancora a lungo i loro figli in questa vita, non avranno la gioia di piangere ed emozionarsi, come solo una madre può, il giorno del loro matrimonio o della loro laurea; sono padri, un tempo giovani e forti, che invecchiano in un colpo solo, e che sussurrano alle loro compagne, di risparmiare, di risparmiarsi, di non perseverare in una lotta impari contro un nemico che difficilmente li lascerà vincere, perché arriverà il momento in cui saranno chiamate ad essere madre e anche padre.

“… una granata …”, forse è proprio così che si sentono e non vogliono null’altro che “minimizzare le vittime …”.

 

Una granata … E se per qualcuno quei nomi ad un certo punto cominciano a perdersi per strada, a diventare numeri con cui si aggiornano statistiche, per qualcun altro quei nomi sono un punto di partenza, sono Vite che non devono essere dimenticate. Per questo i cittadini non si arrendono. Fieri, instancabilmente fieri, vanno avanti.

E così, sul finire del 2015, si concretizza la realizzazione del progetto “Perseo” a Terzigno (già balzata agli onori della cronaca per le rivolte antidiscarica del 2010).

Si tratta di “... un percorso a tappe, ognuna dipendente dalla precedente. La Prima tappa è stata realizzata con la redazione di un Report Sanitario - ambientale dal quale è emersa una situazione allarmante di un territorio martoriato.” Come è possibile leggere dal suddetto Report “La storia, dell’ultimo trentennio del territorio terzignese, è stata un ripetersi di uno scempio ambientale senza precedenti. In un area di soli 17 km2, ad alto interesse ambientale, data la presenza del Parco Nazionale del Vesuvio, troviamo ubicate tre discariche non autorizzate, una discarica autorizzata (Sari), un sito di stoccaggio di rifiuti provvisorio (Cava Ranieri), un sito di produzione di Biogas, due siti di stoccaggio di eco-balle, entrambi incendiati, più di una cinquantina di eco-reati accertati, roghi tossici, dovuti all’incendio perpetuo di cascami, amianto e pneumatici, che si protrae ancora oggi”.

A questa prima tappa ha fatto seguito una seconda designata come IO LO FACCIO: “Una fase basata sulla sensibilizzazione e su un imprescindibile censimento per un’analisi dei dati indispensabili ad una mappatura del territorio rintracciando quelle che potrebbero essere le linee di salvaguardia. Una campagna, quindi, di sensibilizzazione per l’analisi del rischio Tumore e delle malattie ambientali nel territorio...” . Il censimento, anonimo e volontario, dal 1 dicembre 2015 fino al 31 gennaio 2016, permetterà di ottenere i dati utili per una mappatura sanitaria - ambientale del territorio. (Per chi lo desiderasse potrà seguire gli sviluppi dell’iniziativa attraverso la pagina Facebook ad essa dedicata).

Un fiocco rosa è stato assunto quale simbolo di questa iniziativa perché il fiocco è “simbolo di nascita e la nascita è speranza”.

Anna Buono -

Sono nata in provincia di Napoli dove vivo tuttora. Ho conseguito una laurea triennale in Economia Aziendale. Mi piace catturare con una foto le emozioni di un momento. Non dico di no ai momenti in compagnia degli affetti più cari, alla pizza, al cioccolato fondente e ad un buon libro purché non sia di fantascienza o horror. Per me leggere è evadere, sognare, capire. Leggo un libro su suggerimento, per curiosità o per istinto. Khaled Hosseini resta uno dei miei scrittori preferiti anche se mia sorella mi ha contagiata con la sua passione per i libri di Nicholas Sparks. Con ogni probabilità se fossi un libro sarei proprio un romanzo in cui l’Amore, in una delle sue molteplici sfaccettature, sarebbe l’indiscusso protagonista e il lieto fine sarebbe assicurato.

A “La Stanza di Virginia” sono giunta in maniera casuale: qui spero di poter condividere con altri pensieri, emozioni e riflessioni che un buon libro porta con sé.

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