Editoria: interviste

Il mestiere del libraio. Intervista ad Amedeo Bruccoleri

di Francesca Pacini

 

In Sicilia esistono librerie indipendenti che sono veri e proprio tesori nascosti. Piccole, affidabili, di carattere.  Resistono con orgoglio al tempo e alla crisi. Abbiamo incontrato Amedeo Bruccoleri, proprietario di Capalunga, uno spazio che, ad Agrigento, raduna gli amanti dei libri…

Amedeo Bruccoleri

 

Amedeo, tu lavori da molto tempo nel settore dell'editoria. Ci racconti il percorso che ti ha portato fin qui?

Ho iniziato a lavorare in editoria per caso, trovandomi ad intervistare un pomeriggio Alberto Castelvecchi (in quel periodo collaboravo al settimanale di Repubblica, Musica!). Una chiacchierata su 2 libri da loro appena pubblicati, sull'editoria indipendente. Il giorno dopo ci siamo rivisti a pranzo: esco da quel pranzo con un contratto da autore per la pubblicazione di quello che è rimasto, ad oggi, il mio unico libro a mio nome Beat Italiano ( ne ho scritti una ventina, in seguito, come ghost writer) e un contratto da ufficio stampa che durerà ben 5 anni. Mi sono occupato di lanciare autori come Aldo Nove (ilprimo originale Woobinda), Isabella Santacroce (Fluo), Luther Blissett (Mind Invaders) e una serie infinita di autori di saggistica e non solo, che sono diventate firme importanti del giornalismo italiano (Riccardo Stagliano, Andrea Borgnino, Daniela Gambino, Enrico Pulcini, alcuni esempi). Il mio sconfinato amore per i libri, mi ha portato a collaborare con editori come Stampa Alternativa ( se non lo conoscete vi consiglio di leggere Piero Pieri nel suo fulminante La notte di Stalin), Derive Approdi. Mentre lavoravo per loro è arrivata la possibilità di entrare in minimum fax: così ho lasciato tutti gli altri editori per iniziare a lavorare part-time con i "faxiani". I miei anni in minimum fax sono ancora oggi ricordati non solo da me, ma da molti addetti ai lavori (mi scrivo ancora con degli autori che ho contribuito a pubblicare). Io non amo molto parlare di quel periodo: ho chiuso con l'editoria per scelta personale. Troppa amarezza e troppa rabbia mi impedirebbero di fare un discorso generale sull'editoria italiana, che al momento trovo, al "minimo storico" e parlo soprattutto della qualità dei libri pubblicati.

 

Quello del libraio è un mestiere sempre più difficile, oggi. Secondo te, quali sono le strategie per il futuro?

Il mestiere del libraio è diventato un po un paradosso, tutto italico: esistono addirittura delle scuole per formare i librai. Ma nella maggior parte delle librerie di grandi catene di distribuzione, trovi giovani commessi, che non hanno mai avuto grandi esperienze professionali. Un paradosso, che trovo inquietante. il libraio deve essere aggiornato continuamente. Io leggo almeno tre, quattro ore al giorno. E sono autodidatta. Stretegie per il futuro? Sono molto  pessismista. Credo esista un futuro roseo solo per i supermecati dell'editoria. Quelli meravigliosi dove trovi i libri nelle pile in terra, insomma. per  librai indipendenti o i librai "storici", solo mazzate fiscali e non. Vedi la vergognosa legge Levi, che consente ad alcuni di mettere in vendita le novità appena uscite con il 25% di sconto, a molti altri librai no. Se non si crea equillibrio fra le due realtà possiamo organizzare convegni e dibattiti tutta la vita. Tutto inutile.

 

L'ebook. Se ne parla moltissimo, ormai è una realtà. Tu leggi mai libri in formato elettronico? come vedi il rapporto fra editoria cartacea e digitale?

Non ho mai letto un solo libro in formato elettronico e non ho nessuna intenzione di farlo a breve termine. Sono un romantico che ha un rapporto feticistico con il libri da sfogliare, da odorare dentro la libreria al momento dell'acquisto. Trovo interessante l'utilizzo dell'ebook per uso didattico: "consiglierei" il Ministero della Pubblica Istruzione, ad aiutare le famiglie all'acquisto del supporto, per farlo utilizzare ai ragazzi che, sarebbero felici, di non caricarsi degli zaini di 10 kg sulle spalle per anare a scuola. La tecnologia serebbe funzionale allo scopo lettura. Per la lettura da intrattenimento continuo a pensare che il libro non morirà mai. Molti anni fa quando la tecnologia mise nel mercato prima i lettori cd, in seguito I-Phone, I- pad etc,  si parlò di crisi del mercato discografico e della crisi del viile. Nel 2012 il fatturato del supporto vinilico ha superato quello del cd. Ecco, uno dei motivi che mi spinge a sperare che il libro non possa mai morire. Almeno fino a quando esisteranno dei librai testardi e romantici come me!

 

Cosa cerca la gente quando entra in una libreria? ci fai un ritratto delle "categorie", se così possiamo chiamarle, di clienti? una volta ho sentito una donna cercare libri azzurri, per un tocco cromatico della sua biblioteca....

La mia è una libreria che selezione molto i libri da vendere. Per scelta spesso non espongo o tratto best-seller. Di conseguenza la mia clientela è generalmente ben colta e ha idee precise sull'acquisto del libro. Ho poi, molta gente che si "fida" dei miei consigli, per me questa è la vera grande soddisfazione del mio lavoro. Anche a me è successo un aneddoto divertente: un cliente mi ha chiesto (testuale) "un metro e venti di libri con la costa laterale colorata di giallo e rosso, per dare continuità cromatica alla scaffalatura di design, appena acquistata". Assuro, ma vero!

 

Oggi manca, in modo drammatico, una didattica della lettura. in concreto, però, si fa ben poco....

Qualche passo in avanti, per quanto riguarda la didattica, si è fatto. Ma sono inziative isolate, singole, quasi sempre legate alle passioni individuali per la lettura della prof, che spinge i ragazzi alla lettura. Ma ci sarebbe da fare moltissimo, ma il sistema pedagogico attuale è vetusto, arcaico. Per azzerare tutto, ci vuole uno sforzo titanico, che le nostre istituzioni, al momento non sono in grado di compiere. Un po per pigrizia, molto per mancanza di competenza dentro i ministeri.

 

Quale libro mi consiglieresti, adesso? E perché?

Ti consiglio due libri. Il primo, non una novità, ma uno dei libri più interessanti che ho letto nel 2012, Francesco Targhetta, Perciò non veniamo bene nelle foto (ISBN). Un ritratto generazionale lucido e ben scritto, senza incappare nello stereotipo televisivo e mediatico, tipico della generazione dei trentenni descritta dall'autore. Molto intenso. Considera che si stratta di un romanzo scritto per intero in versi (terzine e rime). Davvero coraggioso e interessante. L'altro consiglio è il libro di uno scrittore russo, Zachar Prilepin, Patologie (Voland Edizioni). Leggetelo per l'originalità della narrazione, della lingua, uno scrittore di alto livello, insomma. Se non ti piacciono i miei consigli, puoi cancellarmi dalla lista dei tuoi amici!!!! Scherzo!

 

Come cambia il rapporto con il libro quando, invece che comprarlo, lo vendi?

Quando vendo un libro provo una sensazione unica: a volte vorrei condividere con le persone che acquistano determinati libri più tempo per parlare di letteratura, musica, poesia, arte. Insomma vendere un libro è una condivisione tout-court del tuo immaginario, quindi un gesto intimo di forte intensità. e se l'acquirente sceglie uno dei cinque libri da te preferiti, ecco, scatta la poesia. Inizia ad immaginare le sue sensazioni una volta arrivato alla fine del libro. Scusa se è poco...

 

Editori indipendenti: Aìsara

di Sara Meddi

Aisara

Aìsara è un meraviglioso esempio non solo di come si possa fare un’editoria che sia insieme di qualità e di richiamo per i lettori ma anche di come si possa realizzare un progetto editoriale di respiro nazionale e internazionale mantenendo le radici ben piantate nella propria terra, in una Sardegna troppo spesso tenuta ai margini delle iniziative culturali e letterarie. Per sopperire a questa mancanza di luoghi, fisici e non, d’incontro Aìsara insieme a un più ampio collettivo supporta la rete Lìberos, un’associazione di persone che difende e diffonde la lettura come elemento di ricchezza e coesione per la comunità (se volete dare un’occhiata questo è il loro sito: http://liberos.it/). Aìsara è composta da una redazione tutta al femminile che per questa occasione ha la voce di Francesca Casula, che gentilmente ci ha dedicato parte del suo tempo per rispondere alle nostre domande.

 

Chi è e come nasce Aìsara?

Aìsara è una casa editrice nata da un’idea imprenditoriale (sembra impossibile ma è così). Fin dall’inizio, il suo fondatore aveva in mente un progetto di respiro nazionale, pure con le difficoltà che una posizione eccentrica presenta.

 

Dopo sei anni dalla nascita della casa editrice siete in grado di stilare un primo bilancio? Quali sono gli obbiettivi raggiunti e quelli da raggiungere?

Gli obiettivi più importanti raggiunti in questi anni sono stati sicuramente la costruzione di un catalogo coerente, la distribuzione nazionale (arrivata solo l’anno scorso – da quest’anno abbiamo anche la distribuzione nella penisola iberica) e la presenza fissa alle fiere più importanti. Questo per quanto riguarda gli obiettivi misurabili. Poi ci sono quelli più impalpabili ma per noi altrettanto importanti: la fiducia di molti lettori e librai che ora ci conoscono e che prendono i nostri libri “a scatola chiusa”, autori importanti e noti che si dicono orgogliosi di pubblicare per Aìsara, ma anche la gratitudine di quelli che hanno esordito con noi, in tutti i sensi, dato che ci sentiamo anche noi, dopo sei anni, ancora esordienti. Ora non ci resta che vincere un Campiello e siamo a posto :-)

 

Cosa cerca Aìsara in un libro da proporre nel proprio catalogo?

Qualcosa di speciale, qualcosa che lo distingua da quelle schiere di libri tutti uguali che già si trovano nelle librerie. Tutti ci lamentiamo che si pubblicano troppi libri: noi cerchiamo di pubblicare quelli che secondo noi aggiungono qualcosa all’esistente.

 

Aìsara ha una sola collana per la narrativa, chiamata appunto “narrativa”. Perché avete deciso di proporvi ai lettori con una collana così generica? Non ritenete che sarebbe stato più vantaggioso creare dei percorsi ben precisi che vi aiutassero a differenziarvi nel panorama editoriale?

Ti ringrazio per questa domanda: è la prima volta che qualcuno ce la fa e mi dà la possibilità di spiegare una cosa per noi molto importante: che la letteratura e la lettura non hanno aggettivi. Straniera o italiana, noir o no, che differenza fa per chi legge tanti libri? Davvero c’è qualcuno che entra in libreria e dice “Vorrei un romanzo italiano, uno spagnolo e due americani… Ah, se avesse anche un romeno sarebbe fantastico… L’italiano lo vorrei vivo e lo spagnolo donna, per favore”. Il lettore che abbiamo in mente ci assomiglia, e noi leggiamo tanto e senza pregiudizi. Quello che vogliamo leggere – e dunque pubblicare - sono libri “diversi”, in qualche modo.

 

Com’è fare editoria in Sardegna? Sentite la distanza dai centri dell’editoria italiana?

Gli inconvenienti ci sono, è chiaro che Cagliari non è l’ombelico del mondo, e per raggiungerlo, questo ombelico (che sia Milano, Torino, Roma o Mantova), dobbiamo sempre prendere un aereo. Per ovviarli, abbiamo un ufficio stampa a Milano e il magazzino editoriale a Verona. Però da quest’anno c’è anche un vantaggio: il fatto che in Sardegna sia nata e operi Lìberos, una rete solidale di editori (rigorosamente NO EAP), scrittori, agenzie letterarie, librerie, biblioteche, associazioni culturali che auguro ad ogni regione di creare ci mette per una volta in condizione privilegiata proprio per il fatto di essere qui e non altrove. Per una volta, siamo nell’ombelico del mondo.

 

Nel percorso che dovrebbe portare i vostri libri nelle mani dei lettori qual è, dal vostro punto di vista, il più grande ostacolo?

Il sovraffollamento delle librerie, naturalmente, e la conseguente durata effimera della vita del libro. I nostri libri hanno bisogno di tempo, per farsi conoscere, perché è soprattutto il passaparola a farli emergere, non i cartelloni sugli autobus o le interviste in tv, e quindi è il tempo della lettura quello di cui hanno bisogno. Ma forse non solo i libri, ad aver bisogno di tempo: penso che il tempo della lettura sia qualcosa che dovremmo riconquistare un po’ tutti.

 

Volete presentarci un autore che ritenete particolarmente rappresentativo della casa editrice?

Facciamo uno strappo alla regola, o meglio alla richiesta, e ve ne presentiamo due: André Héléna e Pablo d'Ors. Il primo, scrittore francese considerato in patria il padre del genere noir, è stato per Aìsara il primo importante passo verso la scoperta di talenti letterari nascosti. E infatti è stata la prima casa editrice a pubblicare i suoi romanzi (una dozzina per il momento, ma ne verranno altri) in Italia; tra l'altro e a novembre, per celebrare i quarant'anni dalla sua scomparsa, pubblichiamo l'antologia Le Prince Noir, una raccolta di racconti di dodici scrittori di genere italiani che hanno prestato il loro talento e la loro inventiva per ricreare le atmosfere che hanno reso celebre Héléna.

E poi sicuramente Pablo d'Ors, del quale Aìsara ha appena pubblicato una raccolta di racconti dedicati, ispirati, permeati dai grandi della letteratura mondiale. Il debutto, così si intitola il libro, è il vero debutto letterario di Pablo d'Ors ma anche il primo di una lunga serie di pubblicazioni, dove il lettore che ha un certo gusto per la lettura e per la letteratura troverà pane per i suoi denti.

 

Possiamo avere un’anticipazione dei vostri prossimi progetti?

Noi, si sa, pubblichiamo pochissimi italiani. Un libro “speciale”, come piace a noi, è il romanzo di Nicoletta Salomon, in libreria a ottobre. S’intitola Non chiedermi niente e lo presenteremo al mondo al Pisa Bookfestival.

Frammenti di una blogger

di Marina Bisogno

PetrassiFrammenti del tredicesimo mese” è il blog di Elena Petrassi, addetta alla comunicazione e scrittrice. In questo luogo virtuale e umanissimo la Petrassi non può fare a meno di raccogliervi lacerti di libri, poesie (anche sue), passaggi narrativi con l’effetto di una saetta.

Frammenti del tredicesimo mese per vivere attraverso la rivelazione delle parole anche il tempo materialmente inesistente?

Frammenti del tredicesimo mese è il titolo del mio primo romanzo e del mio blog. Il tredicesimo mese è il tempo della narrazione, quello dove i frammenti della memoria si ricompongono, come quando una lama di luce attraversa la penombra di una stanza e il pulviscolo sospeso nell’aria inizia a danzare. In quel ritmo, nel ritmo della parola scritta sta il mistero che dà vita all’esperienza. Le parole sono alla fine di quel che abbiamo vissuto e le parole sono all’inizio di quel che vorremmo vivere. Ricordo e immaginazione sono le due rive del mare dell’esistenza, le parole sono il ponte, la nave, ma anche le onde, i gabbiani e il vento che li sospinge.

Ha curato la biografia di scrittrici straordinarie, che hanno, il più delle volte, pagato con la vita il loro talento. Mi dica, (sorrido ironica) ha una predilezione particolare per le “incomprese” di tutti i tempi?

“Incomprese” non è proprio l’aggettivo che mi viene in mente quando penso alle scrittrici che amo. Per l’Enciclopedia delle donne ho scritto sino ad ora sei voci ed altre ne sto scrivendo. Sylvia Plath, Anne Sexton, Virginia Woolf, Agota Kristof, Katherine Mansfield, Marie Cardinal sono appunto alcune delle mie scrittrici più amate. Non ho solo letto le loro opere letterarie, ma anche i diari, gli epistolari, le biografie, i saggi critici che sono stati loro dedicati. Il “Diario di una scrittrice” di Virginia Woolf è stata una rivelazione, l’ho letto a diciannove anni e ho capito che il mio scrivere appassionato e leggere furioso, erano i sintomi di una vocazione. Incomprese sono forse state le donne contemporanee delle scrittrici di cui a mia volta ho scritto. Tutte loro, invece, hanno trovato le parole per dirlo, come scriveva Marie Cardinal, e sono per me figure emblematiche dell’epoca in cui hanno vissuto e lottato per affermare la propria arte, la propria visione del mondo.

Poesia, narrativa, giornalismo e comunicazione: percorre tutti i confini della scrittura, con in mano il fil rouge di tutto. Come cambia il suo approccio con la penna durante le ore, i giorni? e come si è evoluto negli anni?

Ho scritto il primo racconto a tredici anni, vincendo anche un concorso letterario di un quotidiano milanese, a quindici la prima poesia. E non mi sono più fermata. Le recensioni e gli articoli li ho scritti per passione e piacere, non per professione, per condividere una scoperta, un’emozione ma anche dubbi e domande. I libri sono arrivati dopo anni di letture e di lavoro intensi e appassionati. La comunicazione aziendale è la mia attuale professione che sto ancora scoprendo e ogni giorno imparo cose nuove, non mi annoio mai. Alla comunicazione ci sono arrivata proprio perché la scrittura è sempre stata la mia vita parallela, la mia vita notturna. Anche quando potrei scrivere di giorno, magari durante le vacanze, le ore della scrittura sono quelle serali e notturne. Non ho la televisione e non la guardo, uso internet con moderazione, per fare ricerche, scrivere sul mio blog e leggere quelli che seguo. I giornali e i libri preferisco tenerli in mano e sfogliarli, sentire la consistenza della carta e l’odore dell’inchiostro. Scrivo tutti i giorni e così come leggo più di un libro alla volta, scrivo cose diverse nello stesso tempo. Prima di scrivere rimugino molto, poi scrivo con concentrazione assoluta, mi è capitato di restare seduta alla scrivania, o al tavolo della cucina che in realtà prediligo, anche dodici ore senza alzarmi mai. Con la stessa concentrazione poi mi rileggo, a volte ad alta voce, a volte leggendo a un amico carissimo, che ha un orecchio assoluto per le parole, ed è un poeta straordinario: Danilo Bramati. E dopo le riletture correggo e limo, ma sempre lavorando sulla carta. È raro che i miei testi nascano sul computer o sulla vecchia Olivetti dove ho imparato a pigiare i tasti da bambina. Ho bisogno della carta, dell’inchiostro, del fruscio della penna che scorre, dei fogli che si ammucchiano sul tavolo. Le poesie le scrivo su quaderni americani con la copertina marmorizzata bianca e nera, e inchiostro turchese. I racconti e i romanzi su fogli formato A4 azzurri o bianchi. Le citazioni le copio su quaderni di tutti i tipi, ne ho ormai diverse decine ed è anche per questo che ho iniziato a copiare sul blog tutte quelle che ho accumulato.

A bruciapelo: a scrivere s’impara? se sì, come?
A scrivere si impara scrivendo, ma soprattutto leggendo. Nel 1984 ho partecipato al primo corso di scrittura creativa mai tenuto in Italia da Raffaele Crovi al Teatro Verdi di Via Pastrengo a Milano. Lì ho conosciuto altre persone di tutte le età che volevano diventare scrittori e per i motivi più diversi. Soprattutto ho conosciuto lo scrittore Giuseppe Pontiggia con cui ho seguito un altro corso l’anno successivo. Ci andavo per il piacere di ascoltarlo, perché lui ci faceva leggere e non scrivere ed è stato il primo scrittore che dopo avere letto le mie poesie e racconti giovanili mi ha detto: “se scrivere è quello che vuoi, fallo, perché hai stoffa, hai talento”. Mi sono tenuta in tasca la sua benedizione come una sorta di talismano e nonostante una volta mi avesse rimproverato che mi divertivo troppo nello scrivere, cosa che è tutt’ora vera, è lui che mi ha fatto capire quanto lo scrivere sia un lavoro duro e solitario, quando al suo laboratorio ci ha mostrato, spero di ricordare il numero giusto, le sette versioni del suo romanzo “La grande sera”.

Domani può lasciare tutto, scappare, leggere e scrivere per giorni tranquilla. Dove scappa?
Non ho mai avuto il desiderio di lasciare tutto e scappare. Però mi piace immaginarmi, e appena posso lo faccio, in riva al mar Mediterraneo: riviera ligure, Costa Azzurra, mar Ionio. O anche a Orta San Giulio, sul lago omonimo. Vicino all’acqua mi sento a casa e il rumore delle onde accompagna il mio scrivere. Ma amo anche Milano, per questo ho deciso che fosse la sua voce quella narrante dei Frammenti del tredicesimo mese.


 

 

Elena Petrassi: Scrittrice e poetessa, vive e lavora a Milano dove si occupa di comunicazione aziendale. Ha pubblicato con ATì Editore il romanzo “Frammenti del tredicesimo mese” (2007) la cui voce narrante principale è la città di Milano e la raccolta di poesie “Figure del silenzio” (2010) Con Moretti&Vitali le raccolte di poesia “Il calvario della rosa” (2004) e “Sillabario della Luce” (2007). Nel 2012 uscirà il secondo romanzo “In giornate identiche a nuvole”. Organizzatrice culturale, ha animato per anni le attività culturali della libreria Utopia – in particolare con la rassegna “Poesia e Filosofia”. Collabora alle riviste “Poesia” e “FOR - Rivista per la formazione dell’Associazione Italiana Formatori” dove con lo scrittore e formatore Dario Arkel sta leggendo ed esplorando in chiave formativo-pedagogica alcuni grandi scrittori e poeti tra i quali: Hillesum, Tolstoj, Roth, Appelfeld, Woolf, Plath, Biamonti, Bramati, Rilke, Mansfield, Camus.

 

Il viaggio della scrittura

di Francesca Pacini

ErvasFulvio Ervas ci ha commosso tutti con il suo “Se ti abbraccio non avere paura”, che narra la storia vera di Andrea, un ragazzo autistico che il padre, Franco, decide di portare con sé attraverso un giro in moto per tutta l’America. Un’avventura emozionante che lo scrittore ha saputo narrare in modo avvincente. Qui ci spingiamo un po’ più in là,e gli chiediamo del suo rapporto con le storie e con la narrativa…

 

Lo dico subito, Fulvio Ervas è una persona speciale. E non c’è ombra di retorica o piaggeria. Quando lo contatto, per chiedergli l’intervista, lui è subito disponibile, accogliente. Rivela un’affinità incredibile con la sua stessa scrittura, così empatica, capace di rimbalzarti dentro.

Voglio saperne di più, sia sul libro che sul suo rapporto con la narrazione….


La storia di Andrea, che tu hai regalato al pubblico, è davvero toccante. Mi racconti dell’incontro con suo padre? Eravate in un bar, giusto?

Ci siamo incontrati in un bar, è vero. Però non ci conoscevamo e non ci saremmo mai incontrati se non avessimo avuto un amico in comune. Perché Franco, tornato dal suo viaggio con Andrea a settembre del 2010, aveva sentito il bisogno di comunicare la sua esperienza. Voleva che i suoi appunti viaggio diventassero una specie di diario per dire a tutti quelli che conoscevano suo figlio: vedete?, con un ragazzo autistico, se hai cuore e energia, puoi fare delle cose speciali. Voleva mostrare che un ragazzo autistico non è un “pazzerello” che agita le mani al cielo, ma uno splendido compagno di viaggio. Così ha cercato qualcuno che lo aiutasse a raccontare questa storia. Perché ci vuole coraggio ( e lui l’ha avuto) e ci vogliono parole ( e io qualcuna ce l’avevo). Ho ascoltato da Franco il racconto del viaggio per 11 mesi, e poi per un altro anno ha cercato di comporre quel romanzo che è finito tra le mani dei lettori.


Oliver Sacks scriveva: "Ogni uomo è un racconto". Come hai vissuto la responsabilità di trasformare in parole scritte quelle valanghe di emozioni?

Il mondo è pieno di storie molto belle. Il viaggio di Franco e Andrea è solo una di queste. Ma le storie, per essere conosciute, devono essere raccontate. Hanno bisogno di parole e immagini. Altrimenti rimangono solo nei ricordi, nobilissimi, di chi le ha vissute. Rendere le storie un po’ più “universali” è una delle possibilità della scrittura. Far sentire che il viaggio di Franco e Andrea contiene schegge di libertà, parla di intimità, di sfide, di cadute e risalite, di speranze e di durissima realtà, di strategie per “portare a casa una decente giornata”, è stata la mia personale responsabilità.

Con un poco di patema d’animo…

 

La tua scrittura è agilissima, sembra quasi che viaggi insieme a quei due.  Hai trovato subito la strada per questa magica simbiosi tra contenuto e stile?

Ero convinto, e in parte lo sono ancora, che uno scrittore creativo dovesse immaginare mondi, standosene alla larga dalle storie vere, e mai ripetersi in modo seriale. E’ finita che ho scritto, prima di questo, 8 romanzi di cui 5 consecutivamente gialli ( con l’ispettore Stucky, meticcio veneziano-persiano.) Quindi non solo sono piombato nella serialità, sono addirittura stato travolto da una storia vera. La vita è, come minimo, bizzarra. Trovare la giusta distanza narrativa, dentro ad una storia vera, nuova, delicata e potente allo stesso tempo, è stato un po’ impegnativo. Però con alle spalle una casa editrice specialissima, come la Marcos y marcos, la fatica non è stata sprecata. Anzi.

 

Le storie che ci entrano dentro  ci cambiano sempre un po’. A te, questo libro, questa storia, cosa hanno lasciato?

Si sono intrecciati molti percorsi: quello del genitore, dell’insegnante e anche quello dello scrittore. Questo libro ha prodotto un’irripetibile incrocio di alcuni fili della mia vita. E’, senza dubbio, un nodo. Umano, prima che intellettuale o letterario. Ogni tanto bisogna avere qualche prova che nella vita stai crescendo: ecco, aver raccontato questa storia, con rispetto, mi dice che qualche passo c’è stato.

MA SEI PIU’ FELICE O TRISTE? «Felice»

NON SEI TRISTE PER TUTTO QUELLO CHE L’AUTISMO TI IMPEDISCE DI FARE? «Mondo parallelo è autismo devo imparare da terrestri»

E TU… NON SEI UN TERRESTRE? «Terrestre imparo diventare». Se questa storia  fosse accaduta a te, e fossi stato protagonista invece che narratore?

Entrare negli abiti di un altro padre: questa è stata la difficoltà maggiore nello scrivere questo libro. Mi chiedevo sempre, nei mesi passati a scrivere la storia, come mi sarei sentito e come avrei reagito se mia figlia fosse stata autistica. Cosa implica confrontarsi con una esperienza così complessa, provare a sentirne emotivamente una parte di quello spessore. C’è chi crede che non sia mai possibile raccontare da vicino le storie degli altri. Che in fin dei conti puoi solo rubarle. Può non essere del tutto sbagliato. Però io sono convinto che è nelle possibilità umane sentire la condizione dell’altro da te, che se li lucidiamo per bene i nostri neuroni a specchio ci permettono di condividere molte situazioni che non ti toccano direttamente, ma che riconosci come possibili eventi anche per la tua esistenza. Che puoi sentire e provare vicinanza. Poi la scrivi, se necessario, con le parole che hai accumulato negli scaffali della tua esperienza.

 

Cosa è, per te, la scrittura?

Uno dei tanti talenti umani. C’è chi disegna, chi coltiva, chi ricama. Personalmente l’associo all’energia vitale: uno dei modi per dissipare certi nodi energetici che altrimenti ti bucano lo stomaco.


I libri che hai amato di più?

Da appassionato di materie scientifiche, alla cui comprensione ( anche faticosamente) dedico del tempo ( principalmente per curiosità e non solo per motivi di lavoro), avrei una lunga lista di saggi che hanno provato a rendere più elastica la mia mente. Non leggo solo per il piacere di immergermi in mondi e storie, ma soprattutto per capire. Tutti i libri che mi hanno fatto crescere sono meritevoli di grandissimo amore.

 

Scrivere, oggi.  Le nuove tecnologie che trasformano tutti in “scrittori”? tutti a scrivere, e nessuno a leggere?

Scrivere è una bellissima attività umana e può, davvero, aiutare a fare pulizia negli scantinati della mente. Che tanti scrivano non è un problema, che tutti credano che con la buona volontà si creino imperdibili romanzi è una simpatica nota di colore. Che i lettori siano una parte abbastanza ristretta del popolo italico è, certamente, un fatto triste. Cominciamo, però, dalla scuola ( o insistiamo dove già si fa): mostriamo ai nostri alunni che noi stessi leggiamo cose che ci piacciono, nei corridoi, nelle biblioteche scolastiche, nelle ore buche. In classe, magari citando qualche bel pezzo di scrittura, tra una nozione e l’altra. Proviamoci…


Un'ultima domanda: ogni scrittore ha le sue abitudini. Le tue? Stanza disordinata oppure ordinata? Fogli ovunque? Scrittura serale o mattutina?

Scrivania con un moderato tasso di entropia. Scrivo, per necessità, di pomeriggio, essendo al mattino impegnato nell’Impero della Pubblica Istruzione. Il mio sogno è di alzarmi presto, come sempre, fare colazione, dare un’occhiata al mio orto e poi mettermi a lavorare sino a mezzogiorno. E dopo: diritto all’ozio…

Agenti letterari: Il Contrappunto

di Sara Meddi

contrappunto

Nota importante all'articolo!

In seguito alla pubblicazione della seguente intervista ci sono giunte diverse segnalazioni attendibili che, contrariamente a quanto lasciato intendere nell’intervista stessa, confermano i rapporti tra l’agenzia letteraria Contrappunto e case editrici a pagamento. La stanza di Virginia è profondamente contraria a questo tipo di politica editoriale e si scusa con i lettori assicurando che tutta la redazione svolgerà in futuro indagini più approfondite prima di pubblicare ogni forma di articolo che possa essere una pubblicità a editori, scrittori o agenti che promuovono questa forma di finta editoria.

 

Sara Meddi intervista Natascia Pane, responsabile dell’agenzia letteraria Contrappunto

 

Prima di tutto ti volevo chiedere questa cosa… ho spulciato un po’ la tua biografia sul sito di Contrappunto, ho letto che tu hai studiato al conservatorio e poi ti sei laureata in Lettere. Mi interessava sapere quale è stato concretamente il percorso che ti ha portato a diventare un agente letterario.

Ti rispondo con un termine che vuole essere molto paradossale, me lo accetti?

 

Be’, certo…

Caso! Quello che ho scritto sul sito è la purissima verità, sulla bacheca della Facoltà di Lettere c’era semplicemente un manifesto che sponsorizzava un corso per redattori editoriali e, da brava studentessa squattrinata che vedeva avvicinarsi la laurea e che si trovava a scegliere tra l’insegnamento e tra i mestieri precari della cultura, ho investito i soldi che avevo messo da parte dando lezioni di pianoforte in questo corso. Senza fare il nome del corso ti posso dire che è stata la scelta peggiore che potessi fare perché davvero non mi lasciò niente dal punto di vista pratico però mi lasciò la possibilità di capire tutto quello che non mi piaceva del mondo editoriale e anche durante lo stage che poi iniziai presso una casa editrice, stage che tra l’altro non terminai mai, erano più le cose che avrei cambiato che quelle che mi piacevano. Ed è da lì che è nato lo spunto perché discutendo con l’editore, anche un po’ presuntuosamente perché avevo 21 anni, lui mi disse “Be’, se tutto questo non ti piace puoi fare l’agente letterario”. E poiché già all’epoca non si riusciva più a dare importanza al singolo autore ho capito subito che il mio ruolo non poteva essere all’interno di quel tipo di redazione ma era nei servizi, e così è nata l’agenzia.

 

Quindi hai iniziato molto presto, a 21-22 anni, come agente…

Esattamente, ho lasciato lo stage, ho aperto subito la mia attività indipendente e mi sono messa a studiare… cioè ho certato di vedere anche quali fossero i modelli, che cosa significasse essere un agente letterario ecc ecc, e 10 anni fa le cose erano ancora più confuse di adesso anche se eravamo molti di meno…

 

Sì, anche se devo dire che nel molto affollato panorama editoriale italiano ho l’impressione che la figura dell’agente sia quella forse più carente.

Assolutamente sì, ma l’idea che mi sono fatta dopo 10 anni di attività è che le cose siano andate un po’ peggiorando. Io auspicavo già allora che nascesse un ordine professionale o perlomeno che nascessero delle restrizione per operare con quel termine e invece saprai benissimo che la prima persona che ha piacere a presentarsi come agente letterario oggi lo può fare.

 

Questo tutto sommato è valido anche per chi decide di fare l’editore.

Assolutamente sì, ma quantomeno l’editore un minimo di capitale per fare la produzione, anche solo per mandare in stampa i libri, lo deve avere. Mentre chi decide di fare l’agente non ha bisogno di nessun investimento iniziale che non sia la sua persona.

 

Sì, ma forse è questa la vera forza del mestiere…

Per come la vedo io sì, perché è tutto davvero orientato sulla persona, e sulla credibilità ovviamente della persona.

 

In dieci anni ti saranno passati tra le mani tantissimi testi e tantissimi autori. Riesci ancora a mantenere quel rapporto diretto che avevi all’inizio della tua attività?

Be’, ti dirò che la maggior parte degli autori che avevo nel 2002 sono gli autori che ho ancora oggi, new entries escluse ovviamente. Questo è bello perché, e ne parlavo proprio oggi con uno dei miei autori di vecchia data, si può crescere insieme.

 

Di quanti autori ti occupi al momento?

Quelli che sono, passami il termine, lo zoccolo duro dell’agenzia, quelli per intenderci che sono con me da tanti anni sono una quarantina ma considera che da diverso tempo abbiamo aperto anche le divisioni estere per portare sia i nostri autori all’estero che gli autori stranieri in Italia, e si è creato un rapporto stabile non solo con gli autori ma anche con le case editrici straniere per le quali gestiamo i cataloghi… che poi è l’attività di compravendita dei diritti che tradizionalmente fa un’agenzia letteraria e che io chiamo scherzosamente “lo scambio di figurine”, perché vedi durante le fiere tutti questi agenti seduti ai tavoli che si scambiano le schede direttamente sull’ipad. Ma questo “scambio di figurine” non ci piace tanto e alla fine il lavoro è sempre improntato, anche se ho delle collaboratrici che mi aiutano, a fare tutto con le mie mani e a farmi vedere in volto, ma ovviamente c’è un limite fisiologico a quello che io posso fare.

 

Allora… spiegandolo con le parole più semplici possibili: che cosa fa un agente letterario? Tu ti svegli la mattina e cosa fai?

La prima cosa che faccio e capire con chi mi dovrò relazionare nella giornata, che significa aprire il calendario, capire chi incontrerò fisicamente e chi non fisicamente e decidere quanto tempo sarò in grado di dedicare a ciascuno. Per esempio se ho otto appuntamenti in studio con otto autori diversi avrò un tipo di giornata se invece ho in programma di organizzare una fiera con le mie collaboratrici la giornata sarà del tutto differente. Quindi ci sono due cose fondamentali: stare tantissimo a contatto con la gente e stare tantissimo da sola, la magia sta nel trovare l’equilibrio giusto.

 

E più in generale di che cosa di dovrebbe occupare un agente letterario in questo momento storico? Un momento in cui si parla molto di print on demand, vanity press ecc ecc

Con molta semplicità bisogna essere 10 o meglio 100 passi avanti. Essere continuamente aggiornati sulle novità, come per esempio l’editoria digitale; comprendere in quali pieghe del sistema si può inserire l’autoproduzione, che in alcuni frangenti è a mio avviso da considerarsi tutt’altro che eretica, e non parlo della vanity press ovviamente; lavorare tanto, fino allo sfinimento, sull’estero non tanto perché sono necessariamente più avanti noi, anche se spesso è vero, ma perché i loro bisogni sono anche i nostri e  viceversa… e poi ovviamente comunicare, cercare i colleghi, stare con i colleghi.

 

Cosa cerchi nei manoscritti che ti arrivano… e soprattutto c’è secondo te un tipo di voce che manca e della quale si avrebbe bisogno adesso in Italia?

Credo che ci sia bisogno di scrittori che sappiano parlare del dolore senza addolorare, cioè di quei scrittori che sanno entrare nelle pieghe più profonde della sofferenza senza per forza trascinarti giù mentre stai leggendo. Quindi di una scrittura assolutamente spietata e forte ma che riesce comunque a mantenere una concezione positiva, e questo è tanto più difficile quanto più l’autore si identifica con il protagonista. Quindi per farla breve c’è bisogno di storie vere.

 

Ho letto sul vostro sito che la prima valutazione dei testi è gratuita. Successivamente alla valutazione qual è la vostra politica economica nei confronti degli autori?

Esatto, la prima valutazione dei testi è da sempre per me considerata come un momento di conoscenza reciproca fra noi e l’autore… come una stretta di mano, per intenderci.

Quanto alla nostra politica economica, Contrappunto opera a parcella. A seconda del valore della firma che acquisiamo sul mercato, e a seconda del progetto di medio o lungo periodo operiamo a parcella, piuttosto che in formule miste a provvigione. Con gli autori che sono con noi da molti anni abbiamo anche rapporti di totale gratuità: è uno dei momenti più belli per sancire anche materialmente un rapporto di fiducia e affetto di lunga data.

 

Per concludere, qual è il vostro pensiero riguardo il fenomeno dell’editoria a pagamento?

Il mio pensiero riguarda quasi esclusivamente la grande confusione che ancora vive attorno a questo tema. E in questo momento alludo soprattutto alla confusione di alcuni editori che della battaglia contro l’editoria a pagamento fanno una bandiera dai contorni troppo sfumati. Cosa penserebbero se, come nella mia esperienza decennale, avessero collezionato proposte di pubblicazione a pagamento anche da case editrici italiane molto blasonate, dalle quale non si ci aspetterebbero certo simili compromessi?

 

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